Non ha vinto il populismo, ma la frammentazione

Nel corso dei prossimi cinque anni l’Unione europea sarà frammentata come mai avvenuto prima d’ora, ritiene il politologo olandese Cas Mudde. Questa frammentazione è la lezione principale che si trae dalle elezioni europee 2019. E contrariamente alla narrazione preponderante nell’ultimo decennio, i vecchi partiti centristi non devono misurarsi solo con un insieme di partiti e gruppi populisti anti-sistema.

Pubblicato il: Giugno 11th, 2019
Non ha vinto il populismo, ma la frammentazione_62cf13663f604.jpeg

Non ha vinto il populismo, ma la frammentazione

Nel corso dei prossimi cinque anni l’Unione europea sarà frammentata come mai avvenuto prima d’ora, ritiene il politologo olandese Cas Mudde. Questa frammentazione è la lezione principale che si trae dalle elezioni europee 2019. E contrariamente alla narrazione preponderante nell’ultimo decennio, i vecchi partiti centristi non devono misurarsi solo con un insieme di partiti e gruppi populisti anti-sistema.

Foto: Dave Shea/Flickr (CC BY-NC-ND 2.0)  

Sembra un po’ un anti-climax. Le elezioni europee 2019 non hanno soddisfatto le previsioni dei media – ovvero la conquista dell’Unione europea (o almeno del suo Parlamento) da parte dei populisti – così questi hanno perso rapidamente interesse. Qualche articolo che parlava di un “picco del populismo ” o un’ “ondata verde ” è in effetti apparso, ma i mezzi di informazione erano già passati ad altro. Anche Fareed Zakaria , il termometro perfetto per capire le opinioni dell’élite, non si è spinto oltre a un banale “Le crisi dell’Occidente sono finite, ma la furia populista resta”.

Le elezioni europee del 2019 sono state interessanti sia per gli aspetti di continuità sia per quelli di rottura. In molti casi, hanno confermato le recenti tendenze a livello europeo, sia entro i confini dell’Unione sia per quanto riguarda i singoli stati membri. In questo articolo mi concentrerò in particolare sulle principali somiglianze e differenze rispetto alle elezioni europee del 2014, per sostenere che le elezioni di quest’anno hanno creato un Parlamento europeo ancor più frammentato, che probabilmente porterà l’Unione a continuare a tergiversare, nonostante la necessità e l’urgenza di riforme essenziali.

Le tendenze del 2014 continuano

L’argomento principale delle elezioni europee del 2014 è stato, o avrebbe dovuto essere, la frammentazione del sistema politico, logica conseguenza della frammentazione in corso nella maggior parte dei paesi. Oggi solo 6 dei 28 stati membri dell’Ue (21 per cento) hanno un partito che ottiene più di un terzo dei voti (rispetto ai dieci paesi del 2014), mentre solo una risicata maggioranza (16 stati) ha un partito che ha ottenuto almeno un quarto dei voti. Solo Malta ha ancora due partiti che superano il 33 per cento dei consensi: in Polonia una delle due formazioni che superano questa soglia è in realtà una coalizione di partiti, mentre in 16 paesi (57 per cento) i due partiti maggiori non rappresentano insieme la maggioranza dei voti.

Le elezioni di quest’anno hanno anche confermato il declino dei consensi per i “partiti di massa” dell’Unione, ossia i partiti di centro-destra vicini al Partito popolare europeo (Ppe) e i partiti di centro-sinistra all’interno dei Socialisti & Democratici (S&D). Sebbene i singoli partiti continuino a entrare e uscire dai vari gruppi politici e nonostante il fatto che potrebbero essere costituiti nuovi gruppi (ad esempio, l’Alleanza delle nazioni e dei popoli europei di Matteo Salvini), potrebbero scomparire vecchi gruppi (come Europa delle libertà e della democrazia diretta di Nigel Farage), il Ppe e S&D hanno perso entrambi circa 35 seggi, che corrisponde a circa il 18 per cento dei loro seggi complessivi nella precedente legislatura. L’elemento ancor più importante da sottolineare consiste nel fatto che i due gruppi, come previsto, hanno perso la maggioranza al Parlamento europeo.

Infine, le ultime elezioni hanno dimostrato che il voto europeo riveste ancora un’importanza secondaria per le élite e le masse d’Europa: le campagne elettorali sono state ancora una volta pressoché inesistenti, e comunque concentrate soprattutto su questioni interne piuttosto che europee. Molto spesso, nei dibattiti o nelle interviste, si è dato la parola ai leader nazionali invece che ai candidati nelle liste elettorali.

Il Primo Ministro olandese, Mark Rutte, che aveva già scoraggiato il voto durante la campagna elettorale del 2014, ha dichiarato che le elezioni europee “non sono così rilevanti “. Nel Regno Unito, che ha deciso di partecipare alle elezioni europee all’ultimo minuto, non c’è stata letteralmente nessuna campagna elettorale, tranne per la nuova impresa politica di Nigel Farage, con il partito Brexit.

So che state pensando all’aumento dell’affluenza. Infatti, l’affluenza alle urne è aumentata per la prima volta dal 1979, da quando si tengono le elezioni dirette del Parlamento europeo. In risposta, il potente segretario generale di Jean Claude Juncker, Martin Selmayr, ha trionfalmente dichiarato: “Il vero vincitore di queste elezioni è la democrazia”. I commentatori hanno gioito per ’”la grande ondata di affluenza alle urne ” (era un aumento dell’8 per cento), rallegrandosi dunque per un’affluenza media di appena il 51 per cento, che scenderebbe al di sotto del 50 per cento se 3 paesi non avessero l’obbligo di voto (in particolare, il Belgio e il Lussemburgo).

Mi sembra anche molto inverosimile sostenere che l’aumento dell’affluenza sia una prova del fatto che “l’Europa è un soggetto più discusso e le persone sono più impegnate .” L’affluenza è cresciuta soprattutto in Austria (+12,1 per cento), Germania (+13,5 per cento), Ungheria (+14,5 per cento), Polonia (+23 per cento), Romania (+ 18,9 per cento) e Spagna (+18.4 per cento). Cinque di questi sei paesi mostrano una politica nazionale altamente polarizzata, ragione più probabile che spiega la maggiore mobilitazione. Con questo non voglio dire che l’aumento dell’affluenza non sia un fatto positivo o reale, ma che comunque colpisce solo lievemente la situazione di generale disinteresse per la politica europea sia a livello di élite sia tra le masse.

Spezzare la tendenza

Le elezioni europee del 2019 hanno spezzato la tendenza precedente in due modi significativi. In primo luogo, l’aumento dei consensi questa volta si è distribuito più equamente tra partiti anti-sistema e partiti tradizionali. Considerando che i partiti populisti hanno realizzato una netta vittoria nel 2014 e (anche se in misura minore) nel 2009, hanno compiuto passi avanti più modesti nel 2019. Inoltre, anche il partito pro-sistema Verdi-Alleanza Libera Europea (Verdi/Ale) e in particolare l’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa (Alde) sono stati fra i principali vincitori, totalizzando rispettivamente 23 e 41 seggi (tra cui quelli del partito di Emmanuel Macron En Marche).

È interessante notare che mentre i media si sono concentrati molto sull’”Ondata Verde “, non è stato dato molto spazio ai liberali. Molti mezzi d’informazione internazionali hanno salutato “la crescita” dei verdi e la loro “rivoluzione silenziosa ” che “trasformerà la politica energetica.” Alcuni addirittura hanno presentato i Verdi come “una risposta ai cambiamenti climatici e all’estrema destra “. Magari lo sono, ma finora questa risposta è (moderatamente) popolare soltanto nell’Europa nordoccidentale. I Verdi non hanno “realizzato un aumento sorprendente in Europa”, dato che sono quasi completamente assenti in Europa orientale e meridionale. Ad eccezione della Lituania, i pochi membri eletti dai Verdi/Ale in queste regioni non provengono dalla parte ambientalista ma sono regionalisti e pirati (Repubblica Ceca). Ma anche nell’area nord-ovest i Verdi sono tuttalpiù una forza politica di medie dimensioni, che non costituisce il maggior partito in nessun Stato membro ed è il secondo partito solo in Germania.

Per quanto riguarda i liberali, questi rappresentano una forza politica molto più paneuropea. Innanzitutto, l’Alde raccoglie partiti di successo in tutta Europa, da Venstre in Danimarca a Ciudadanos in Spagna, dai liberaldemocratici in Regno unito alla Coalizione Alleanza 2020 in Romania. In secondo luogo, possiedono primi ministri in diversi Stati membri dell’Ue (incluso Repubblica Ceca, Francia e Paesi Bassi), e ciò conferisce loro una voce anche nel Consiglio europeo e in Commissione europea, organi più influenti. In realtà, i liberali stanno cercando di utilizzare il loro nuovo potere politico per avere più peso nei posti chiave a Bruxelles.

Inoltre, i populisti non solo devono condividere le prime pagine con verdi e liberali, ma la loro crescita è stata molto più modesta del previsto, anche se le aspettative erano gonfiate dall’attenzione mediatica. C’è da aggiungere che il reale aumento di consensi non è stato per i populisti, ma per uno specifico sottoinsieme di populisti. I partiti della sinistra populista, come Podemos in Spagna e Syriza in Grecia, tra i principali astri nascenti nel 2014, hanno registrato risultati mediocri nelle elezioni di quest’anno. Allo stesso modo è successo per la maggior parte degli altri partiti minori della sinistra populista, da La France Insoumise di Mélenchon al Partito socialista nei Paesi Bassi.

Questa volta, la vittoria dei “populisti” è stata chiaramente a destra, in particolare nell’estrema destra. I partiti populisti di destra radicale hanno incrementato significativamente la loro presenza nell’europarlamento in particolare rispetto alle elezioni del 2014. I motivi sono diversi: in primo luogo, per la prima volta in assoluto, i partiti populista di destra radicale ha stravinto in molti dei più grandi stati membri (in particolare Italia, Polonia e Regno Unito). In correlazione a ciò, molti dei partiti più grandi si sono trasformati in partiti di destra radicale populista tra il 2014 e il 2019; i casi più emblematici di questo mutamento sono Viktor Orbán e Fidesz in Ungheria e Jarosław Kaczyński e Legge e Giustizia in Polonia, ma anche Nigel Farage e il suo partito Brexit in Regno Unito.

Terza e ultima motivazione, la destra radicale populista ha aumentato i consensi nella maggior parte dei paesi, grandi e piccoli, anche se in alcuni casi s’intende che un vecchio partito è stato sostituito da uno più recente, come è avvenuto nei Paesi Bassi, con il Partito della Libertà di Geert Wilders (eliminato) e il Forum per la democrazia di Thierry Baudet (creato). Anche l’estrema destra ha guadagnato più consensi, soprattutto il Partito Popolare Slovacchia Nostra di Marian Kotleba (12.1 per cento) e il Fronte Nazionale Popolare a Cipro (8,3 per cento), anche se nel complesso i partiti neo-nazisti hanno perso due seggi e un partito (il tedesco Npd) nel Parlamento europeo.

I prossimi cinque anni

Nel corso dei prossimi cinque anni l’Unione europea sarà frammentata come mai prima d’ora. Questa frammentazione è la lezione principale che si trae dalle elezioni europee 2019. Per la prima volta nella storia, il Ppe di centro-destra e S&D di centro-sinistra &D non controlleranno la maggioranza dei seggi al Parlamento europeo. In ogni caso, contrariamente alla narrazione preponderante nell’ultimo decennio circa, i vecchi partiti centristi non devono misurarsi soltanto con un insieme di partiti e gruppi populisti anti-sistema. In realtà, secondo le attuali previsioni , il partito liberale pro-sistema Alde e i verdi-regionali del partito Verdi/Ale sono rispettivamente la terza e la quarta formazione più grande in Parlamento. Inoltre, anche i populisti di destra restano divisi in almeno due, o forse tre, gruppi politici.

Ma le divisioni tra i vari gruppi politici di Bruxelles rappresenta solo una parte della frammentazione. I gruppi politici all’interno del Parlamento europeo sono sempre stati una combinazione di connessione ideologica e considerazioni di ordine strategico, ma oggi sono più eterogenei che mai. Mentre la disciplina di voto è stata notevolmente elevata, almeno nei principali gruppi, ulteriori spostamenti all’interno dei gruppi potrebbero indebolirla.

Ad esempio, all’interno del Ppe i partiti dell’Europea centrale e orientale, culturalmente più conservatori, costituiscono ormai tre delle quattro parti principali, mentre tre delle cinque principali frazioni dentro S&D provengono dall’Europa meridionale, contraria all’austerità. Anche i gruppi euroscettici minori di destra sono tutto fuorché uniti, come mostrato dalla loro tradizionalmente bassa disciplina di voto . I Conservatori e Riformisti europei (Ecr) sono ora dominati dal PiS, dopo la disfatta elettorale dei conservatori britannici, e ciò provoca angoscia in molti Stati dell’Europa occidentale. L’Efn, ora Aepn, ha molti soldati ma pochi generali, dato che sia Salvini sia Le Pen sono tornati in patria. E se l’Efdd dovesse sopravvivere, rimarrà comunque un matrimonio opportunistico di convenienza, largamente assente dal Parlamento ad eccezione dei pochi discorsi altisonanti di Farage.

La frammentazione del Parlamento europeo è una logica conseguenza della frammentazione politica in corso negli stati membri, e conferma ancora una volta che la politica europea è ancora prevalentemente una politica nazionale. Tuttavia, a differenza della maggior parte dei suoi Stati membri, l’Unione europea si trova di fronte a un bivio, con molti europei convinti che sia troppo forte o troppo debole.

Sarà necessario impegnarsi sulle riforme fondamentali per renderla di nuovo una forza politica positiva. Ciò è ancora più importante e urgente, nell’attuale clima ostile a livello internazionale, dove l’Europa si trova a dover affrontare sfide significative dal punto di vista economico e della sicurezza, provenienti da Cina, Russia e persino Stati Uniti. Ciò richiede non solo visione politica e coraggio, ma anche collaborazione e fiducia. Nulla di tutto questo è uscito rafforzato dalle elezioni europee del 2019.

Ricevi la nostra newsletter