Intervista a Eloi Laurent: “La piena salute è la soluzione per farci uscire dalla crisi”

La pandemia Covid-19 è un triste promemoria che la vitalità dell'ecosistema e la salute umana sono strettamente collegate. Per Eloi Laurent, "la migliore politica economica è una buona politica sanitaria e la migliore politica sanitaria è una buona politica ambientale. Non vi è alcun compromesso tra economia e ambiente".

Pubblicato il: Dicembre 21st, 2020
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Photo: Mohammend Hassan/Pixabay

Intervista a Eloi Laurent: “La piena salute è la soluzione per farci uscire dalla crisi”

La pandemia Covid-19 è un triste promemoria che la vitalità dell’ecosistema e la salute umana sono strettamente collegate. Per Eloi Laurent, “la migliore politica economica è una buona politica sanitaria e la migliore politica sanitaria è una buona politica ambientale. Non vi è alcun compromesso tra economia e ambiente”.

Photo: Mohammend Hassan/Pixabay

Eloi Laurent è un economista, docente all’Istituto di studi politici di Parigi (Sciences Po), a l’École des Ponts Paris Tech e all’Università di Stanford. Ha scritto diverse opere a tema economico. Secondo Laurent la pandemia da COVID-19 ci ricorda in maniera feroce che la vitalità degli ecosistemi e la salute umana sono strettamente legati. Quella che definisce Laurent “piena salute” è una visione del mondo dove gli ecosistemi riprendono il posto che meritano (alla base della nostra sopravvivenza) e nella quale è necessario un cambiamento di direzione dei nostri sistemi economici, ormai prossimi a un punto di crisi, in modo da poter garantire il benessere collettivo grazie alla sua incarnazione istituzionale: lo Stato “socio-ecologico”.

Quali sono le riflessioni all’origine del suo libro “Et si la santé guidait le monde” ?

In questo libro voglio proporre un nuovo orizzonte, un nuovo modo di raccontare il soggetto — un po’ arido — del superamento dell’idea di crescita e di Pil come indicatori di benessere. Quella che io definisco “piena salute” è una sorta di bussola, ma anche uno scudo, che le nostre società devono adottare in questo ‘secolo ambientale’ che, secondo me, è iniziato il 7 aprile 2020, con il sacrificio di 4 miliardi di esseri umani che hanno dovuto rinunciare all’essenza stessa della loro umanità: le relazioni sociali.

La “piena” salute è una salute tanto sociale quanto ecologica che può, secondo me, farci uscire delle due crisi che colpiscono l’Europa: la crisi immediata, cioè la crisi della cooperazione sociale, della desocializzazione che danneggia ora anche la salute mentale e che richiede una strategia di “rivitalizzazione sociale”, ma anche la crisi più profonda di insostenibilità ecologica del sistema economico, che richiede il prendersi cura degli ecosistemi per il nostro bene. 

Perché le ricerche esistenti sul legame tra salute e ambiente, esistenti già da vari decenni, non sono sufficientemente presi in considerazione nell’elaborazione delle politiche pubbliche? 

I governi sono accecati dal “progresso”, tanto alla moda nel ventesimo secolo, dove crescita economica e progresso sociale sono (in parte) andati di pari passo, senza che la questione ambientale fosse presa in considerazione, almeno fino alle mobilitazioni di massa negli anni ’60. Questo mondo è ormai alle nostre spalle, siamo precipitati irrimediabilmente in un nuovo mondo dove un’alleanza tra giustizia sociale e sostenibilità deve prendere il sopravvento.

L’economia sarà progressivamente marginalizzata a semplice modo di organizzazione della società e modo di analizzarla. Ciononostante, resiste. Il più grande ostacolo alla transizione ecologica è questa visione dell’economia, ormai completamente obsoleta. Si osservi come questo riemerge con la grande crisi sociale prevista nel 2021: si parla di “salvare il lavoro”, si sente dire che “la trasformazione ecologica è troppo cara”, etc. Invece, paradossalmente, il calcolo economico più assurdo possibile è proprio quello di ritardare ancora la transizione ecologica: ci costerà 100 volte più caro lottare contro il cambiamento climatico e preservare i nostri ecosistemi tra dieci anni. Queste crisi non spariranno perché decidiamo di non prenderle sul serio. La non-ecologia è costosissima e il suo costo non farà che aumentare con la nostra cecità e il nostro tergiversare. 

La più grande ironia riguarda quelli che abbiamo chiamato per la prima volta nella storia gli “economisti” in base alla loro influenza di corte, cioè i fisiocrati che avevano una profonda coscienza dell’importanza degli ecosistemi nei sistemi economici. Oggi, gli economisti sono diventati dei “consiglieri dell’irreale”: dipingono al potere un mondo immaginario nel quale le economie sono dematerializzate e l’ecologia è un altro mezzo per aumentare la crescita economica. 

In questo contesto, come considera la risposta dell’Europa alla pandemia da COVID-19? 

Ci sono almeno due gruppi di paesi che si distinguono. Quelli che chiamo i paesi dell’austerità sanitaria (la Francia, la Gran Bretagna, l’Italia e la Spagna) e gli altri (come la Germania o la Finlandia).

Il caso della Francia è emblematico: in primavera come in autunno, la priorità è stata data alla crescita e all’economia, lasciando peggiorare gli indicatori sanitari. È stato poi necessario prendere delle misure estremamente autoritarie per correggere la trascuratezza iniziale, perché il sistema sanitario pubblico era indebolito dall’austerità, e tutto ciò si è esplicitato non in un blocco dell’attività economica, ma in un freno alla cooperazione sociale.

Questo è il nodo della crisi della devitalizzazione sociale che la Francia attraversa e che tocca il cuore di quello che facciamo insieme: il contatto, la fiducia, la cooperazione. Questo spiega i nuovi gravi problemi sanitari, in particolare per quanto riguarda la salute mentale. È evidente l’assurdità del cosiddetto dilemma tra salute e economia: i paesi che hanno avuto le perdite umane più importanti sono anche quelli che hanno registrato le perdite economiche più pesanti, perché hanno gestito la crisi sanitaria in un binomio di panico/negligenza che ha escluso ogni anticipazione. La migliore politica economica è legata a un’altrettanto buona politica sanitaria; allo stesso modo la politica sanitaria migliore è legata a una buona politica ecologica. È ancora più evidente che non esiste una competizione tra economia e ambiente.

Quale insegnamento possiamo trarre delle conseguenze della crisi sanitaria riguardo al legame tra salute e ambiente? 

Questa crisi ci fa vedere che se non prendiamo sul serio l’argomento della salute umana e dei suoi legami con gli ecosistemi, distruggeremo l’economia. Invece di focalizzarci sul costo delle politiche ambientali e sociali, dovremmo guardare il costo umano e finanziario di una pandemia: 1,5 milione di morti, decine di milioni di invalidi a vita, l’equivalente di tutta l’economia europea distrutta. Il tutto è ancora gestibile ad oggi. Lo sottolineava già l’economista britannico Nicholas Stern nel suo report sull’economia del cambiamento climatico nel 2007: il costo dell’inazione era considerevolmente più elevato di quello dell’azione.

Cos’è la nozione di “piena salute”, con la speranza di vita come indicatore principale, proposta nella sua opera? 

La “piena salute” comprende sia la salute sociale, che comprende tutta la società (la pandemia di COVID-19 ci ricorda quanto la nostra salute dipenda da quella degli altri), sia la salute ecologica in tutte le sue forme e ramificazioni.

Sappiamo, ad esempio, che la qualità delle relazioni sociali è una variabile essenziale della speranza di vita. In altre parole, le interazioni sociali hanno il potere non solo di darci vita, ma anche di mantenerci in vita. Una politica di investimenti nelle relazioni sociali e di lotta contro “l’epidemia di solitudine”, che impatta negativamente i giovani e le persone anziane, avrebbe effetti positivi in sé, ma anche in ambito ecologico, ad esempio nella resistenza agli shock climatici.

Propongo di includere i rischi sociali legati ai rischi ecologici nel perimetro dello Stato sociale e di sviluppare una vera e propria protezione sociale-ecologica nell’ambito dell’azione statale: questo presuppone di non smantellare quello che già abbiamo. Spero che gli europei si renderanno conto del fatto che lo Stato sociale sarà un’istituzione assolutamente vitale nel ventunesimo secolo.

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