Come le tecnologie che rendono le nostre città più efficienti mettono a rischio la privacy le democrazia

Le reti 5G che stanno prendendo piede in tutta Europa possono offrire alle città - ai cittadini come alle amministrazioni - uno stile di vita sostenibile, regolare il traffico e aumentare la sicurezza; dall’altro canto, però, questa tecnologia può anche portare verso la sorveglianza di massa.

Pubblicato il: Ottobre 13th, 2019
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Come le tecnologie che rendono le nostre città più efficienti mettono a rischio la privacy le democrazia

Le reti 5G che stanno prendendo piede in tutta Europa possono offrire alle città – ai cittadini come alle amministrazioni – uno stile di vita sostenibile, regolare il traffico e aumentare la sicurezza; dall’altro canto, però, questa tecnologia può anche portare verso la sorveglianza di massa.

Stile di vita sostenibile, traffico stradale ridotto, connessioni internet più veloci e maggiore sicurezza: queste, insieme ad altre interessanti opportunità, sono le soluzioni che le smart cities assicurano di riuscire a promuovere, con una ventata di ottimismo, nella corsa per l’applicazione generalizzata del 5G, sul quale le smart cities si baseranno.

Tuttavia, per quanto interessanti possano sembrare queste prospettive al primo sguardo, non si può trascurare la minaccia sociale e politica che emerge di pari passo con la controversa questione della privacy relativa a queste città e la violazione delle libertà civili.

Infatti, le soluzioni digitali possono migliorare alcuni indicatori della qualità della vita intorno al 10-30 per cento , secondo la società di consulenza McKinsey. Questi indicatori riguardano settori come l’ambiente, in cui il gas a effetto serra potrebbe scendere del 10-15 per cento, mentre la criminalità potrebbe essere ridotta fino al 40 per cento.

Le città costituiscono la maggiore minaccia per l’ambiente, poiché consumano il 78 per cento dell’energia globale e producono oltre il 60 per cento dei gas serra, come spiega una relazione diffusa dal Programma Onu per gli insediamenti umani , nonostante le zone urbane occupino il 2 per cento della superficie terrestre.

Quindi, dato che si prevede che due terzi degli abitanti di tutto il pianeta vivranno nelle aree urbane entro il 2030 , diviene sempre più importante acquisire una maggiore integrazione tecnologica che possa aiutare ad affrontare le sfide future.

Le smart cities emergono quindi come una prospettiva accattivante, grazie all’installazione all’interno delle aree urbane di migliaia di sensori, collegati a un cloud comune che poi traduce i dati relativi alla popolazione per trovare soluzioni in tempo reale per la gestione quotidiana e per la crescita futura.

Tuttavia, le grandi aziende tecnologiche, famose per i discutibili risultati sulla riservatezza dei dati, sono in prima linea nello sviluppo di queste aree urbane, che potranno monitorare, memorizzare e adattarsi a ogni mossa dei cittadini. Per questo motivo, le smart cities si trovano di fronte a un controverso bivio tra comodità e libertà.

Lo scandalo Cambridge Analytica che ha coinvolto Facebook e i pregiudizi di Google , resi pubblici da ex-dipendenti divenuti informatori, hanno condotto ad accese discussioni nell’America del nord per la possibile necessità di scorporare i giganti tech a causa delle loro ingerenze su questioni legate a privacy, libertà di espressione e democrazia.

Waterfront Toronto, uno sviluppo di smart city su cui lavora Sidewalk Labs, una società controllata dalla società che fa capo a Google, Alphabet, ha scatenato dure critiche riguardo alla privacy e alla raccolta di dati, motivo per cui molti membri del consiglio di amministrazione hanno abbandonato il progetto.

Roger McNamee, uno dei primi investitori in Google e Facebook, ha fatto sapere che i dati degli utenti ottenuti grazie al al progetto Quayside sono potenzialmente in grado di “bypassare la democrazia grazie a decisioni prese sulla base di risultati algoritmici” aggiungendo che questa “visione distopica non lascia spazio a società democratiche”.

Mentre una grande quantità di sano scetticismo permane Oltreoceano, l’emergere in Europa di smart cities basate sulla tecnologia 5G è promosso quasi esclusivamente dalla Cina, attraverso il gigante del settore mobile Huawei, che non è estraneo a simili controversie.

Gli Stati Uniti stanno sviluppando 40 smart cities, meno del 4 per cento del totale mondiale, mentre la Cina ne ha 500 in via di sviluppo, quasi la metà del totale mondiale: ciò illustra quanto sia avanti Pechino in questa particolare gara.

Efficienza vs libertà: l’Europa riuscirà a trovare il giusto equilibrio?

In luglio, la vice-presidente senior di Huawei, Catherine Chen, ha annunciato che la società ha firmato 50 contratti commerciali per la tecnologia 5G, 28 dei quali con contraenti europei, fondamentali per la creazione della smart cities sul continente.

Duisburg, nella Germania occidentale, con una popolazione di poco meno di mezzo milione di persone, è l’ultima città ad aver deciso di diventare “smart” grazie a una partnership con Huawei che la trasformerà da tradizionale città industriale in una “smart city orientata ai servizi”, per assistere il governo, la logistica portuale, l’istruzione, le infrastrutture e le abitazioni.

Si prevedono progetti simili in tutta Europa, con un’egemonia di Huawei sulla rete 5G. In Grecia, Huawei ha iniziato a investire nel 2005 e ora possiede il 50 per cento delle apparecchiature di telecomunicazioni sul mercato. Nel frattempo, 15 grandi città spagnole, tra cui Madrid, Barcellona, Valencia e Siviglia utilizzeranno le stazioni Huawei per la transizione all’era “smart”.

Secondo Euractiv , 240 città europee con una popolazione oltre i 100mila abitanti stanno andando nella direzione della smart cities.

Anche Slovacchia e Ungheria hanno dichiarato la loro intenzione di avere Huawei come fornitore 5G dopo aver respinto i timori in materia di sicurezza, ma è la Serbia a prestare più attenzione agli aspetti intrusivi delle smart cities basate sulla tecnologia 5G, imponendo un accesso altamente sorvegliato con la promessa di protezione e sicurezza.

Un insoluto incidente che ha avuto luogo a Belgrado ha fatto da apripista per l’attuazione in Serbia del sistema di alta sorveglianza in collaborazione con Huawei. L’autore dell’atto di criminalità sopracitato è stato catturato in Cina grazie al software di riconoscimento facciale; per questo motivo, la relazione già solida tra i due stati si è consolidata, con il fine di creare delle “Safe Cities”.

Questo accordo ha permesso l’installazione di 1000 videocamere ad alta definizione, le quali utilizzano un software per il riconoscimento facciale e il riconoscimento delle targhe in 800 punti in tutta Belgrado; tuttavia, non è stata ancora applicata la legge serba che regola la valutazione di impatto della protezione dei dati.

Ed è per questo motivo che esistono queste preoccupazioni riguardo alle smart cities, dal momento che le società che forniscono i dati praticamente dettano legge in materia di protezione dei dati e di riservatezza, ponendosi al di sopra delle norme previste nel paese.

I legami tra Huawei e il governo cinese possono esporre le democrazie liberali a cyber-attacchi, spionaggio, autoritarismo digitale e possono scatenare una guerra informatica attraverso la rete 5G e le smart cities che saranno alimentate da questa tecnologia.

Clara Alves Rodrigues’ nella sua relazione peer-reviewed “Digital Gangsters – Are Big Tech Giants Challenging Democracy?” afferma che “a causa dello sviluppo e, di conseguenza, della complessità della tecnologia, diventa inevitabile creare partenariati tra settore pubblico e privato per rimanere al passo con le attuali idee e sistemi”.

“Di conseguenza, il governo agisce più come un broker che acquista e organizza i servizi dal settore privato. La tutela dei diritti umani è quindi lasciata nelle mani di chi progetta le smart cities. Per esempio, il diritto alla privacy può essere concesso soltanto ai cittadini delle smart cities se esso è compreso nella tecnologia che lo governa, che preveda espressamente la privacy”.

Ma questo non è soltanto una previsione ipotetica: tutto ciò che può essere fatto con questa tecnologia è già messo in pratica in Cina. I campi di “rieducazione” nello Xinjiang, la provincia cinese più occidentale, che prevedono posti di blocco della polizia, riconoscimento facciale, registrazione biometrica, rilevamento GPS, videosorveglianza e monitoraggio delle comunicazioni costituiscono un vero e proprio stato di sorveglianza high-tech pienamente sviluppato che tiene imprigionati circa 1,5 milioni di musulmani uiguri.

Ciò si aggiunge al sistema cinese di assegnazione di crediti , che classifica il comportamento dei cittadini e, tra le altre cose, limita l’accesso ai mezzi di trasporto e ai buoni posti di lavoro per coloro che ottengono punteggi inferiori agli standard previsti.

Alla fine del 2018, ai potenziali viaggiatori inseriti in queste liste erano stati negati 5,5 milioni di viaggi ferroviari ad alta velocità e 17,5 milioni di viaggi per via aerea. Soltanto in luglio 2019, la Cina ha impedito a 2,56 milioni di “entità screditate” l’acquisto di biglietti aerei e ad altre 90mila persone non è stato concesso l’acquisto di biglietti ferroviari.

Una Guerra Fredda tecnologica tra Stati Uniti e Cina

Questa situazione non è soltanto una minaccia a livello individuale, ma costituisce un potenziale focolaio di tensioni geopolitiche emergenti alle porte dell’Europa tra le due maggiori superpotenze mondiali.

L’inasprimento sul caso Huawei a opera dell’amministrazione Trump si inserisce all’interno di una più ampia guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina, ma è anche motivato dalle preoccupazioni riguardo il presunto spionaggio svolto dall’azienda cinese e da altre minacce alla sicurezza nazionale. Inizialmente, gli Stati Uniti potevano contare sul sostegno degli alleati europei, ma, per il rischio di interventi dello Stato extragiudiziali, Regno Unito, Germania, Francia e Paesi Bassi hanno fatto marcia indietro.

In ogni caso in settembre, la Polonia ha sferrato un colpo a Huawei con la firma di un accordo con gli Stati Uniti al fine di rafforzare la cooperazione sulla tecnologia 5G: nonostante non venisse citata direttamente la società di telecomunicazioni cinese, era comunque implicitamente presente nella dichiarazione comune che ha fatto seguito all’accordo, dove si sosteneva la necessità di “un’attenta e completa valutazione dei fornitori di componenti e software 5G”.

Il vice-presidente degli Stati Uniti, Mike Pence, ha affermato che l’accordo tra Polonia e Stati Uniti per il 5G “costituisce un importante esempio per il resto d’Europa”.

Dunque, la corsa al 5G, e le smart cities che ne derivano, non è più una semplice questione di fornitura di rete, ma sembra diventare, direttamente o indirettamente, un allineamento dei vari paesi con gli Stati Uniti o con la Cina, che nel prossimo futuro coinvolgerà tutti i settori dall’economia alla vita quotidiana.

Entro il 2024, circa il 40 per cento della popolazione mondiale e circa 22 miliardi di dispositivi, dalle automobili ai frigoriferi e dai telefoni cellulari ai semafori, saranno collegati alla rete 5G, e rimodelleranno completamente il nostro modo di vivere.

Una minaccia per la democrazia

La violazione della democrazia evidenziata da Google attraverso la sua manipolazione algoritmica sulle elezioni presidenziali Usa del 2016 ha dato la misura delle capacità e delle intenzioni delle grandi aziende tech quando la loro potenza cresce troppo o non ha pari.

E così avviene anche per le smart cities: quando queste stesse aziende diventano molto più che motori di ricerca o fornitori di servizi di rete, ma i veri proprietari di tutti gli elementi relativi ai dati personali di una persona nonché gli arbitri del comportamento, il grave rischio è che questi giganti tech non siano solo in grado di influenzare le elezioni, ma anche di plasmare l’umanità secondo i propri desideri.

Il problema non risiede nelle possibilità tecnologiche, ma nel capire chi sta dietro alla codifica di queste città e quali sono gli scopi perseguiti.Il desiderio di risolvere alcune problematiche urgenti per la vita urbana è giustificato e per questo motivo le smart cities, basate sulla tecnologia 5G, possono essere una soluzione accattivante.

Ma la fretta di salire sul treno del 5G ha fatto pericolosamente sottovalutare le minacce che incombono sulla tutela della privacy e della democrazia. 

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