Ricollocamento dei migranti nei Paesi Ue: secondo la Corte dei conti il meccanismo non funziona

Secondo la Corte dei conti Ue, il programma obbligatorio, creato nel 2015, per smistare le persone in cerca di protezione internazionale da Grecia e Italia (paesi di arrivo) verso gli altri paesi dell’ Unione europea non ha prodotto i risultati attesi.

Pubblicato il: Novembre 22nd, 2019
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Ricollocamento dei migranti nei Paesi Ue: secondo la Corte dei conti il meccanismo non funziona

Secondo la Corte dei conti Ue, il programma obbligatorio, creato nel 2015, per smistare le persone in cerca di protezione internazionale da Grecia e Italia (paesi di arrivo) verso gli altri paesi dell’ Unione europea non ha prodotto i risultati attesi.

Nonostante gli stati membri abbiano accolto circa 35mila persone provenienti da Grecia e Italia, un report della Corte dei Conti afferma che, per esempio, nella sola Grecia ci sono ancora circa almeno 445mila eritrei, iracheni e siriani che, potenzialmente, sono ammissibili al ricollocamento. 

Mercoledì 13 novembre l’autore principale della relazione, Leo Brincat, ha spiegato ai giornalisti a Bruxelles che, inoltre, 36mila persone potevano essere eventualmente trasferite dall’Italia verso altri paesi Ue. “Se guardiamo invece il totale dei migranti riposizionati” spiega Brincat, “vediamo che le persone ricollocate sono state 21.999 per la Grecia e 12.706 per l’Italia”.

Secondo la Corte dei conti europea ad oggi i migranti ricollocati rappresentano solo il 4 per cento circa dei richiedenti asilo in Italia e circa il 22 per cento di quelli presenti in Grecia.

Spesso citato da parte della Commissione europea come un successo, lo schema biennale ha causato anche notevoli controversie con alcuni stati membri, con conseguenti battaglie giudiziarie alla Corte europea di giustizia in Lussemburgo.

Quando lo schema è stato approvato per la prima volta dai i ministri degli interni alla fine del 2015, il carattere obbligatorio della proposta è stato imposto dal voto, superando l’opposizione di Repubblica Ceca, Ungheria, Romania e Slovacchia.

Solo il mese scorso, l’avvocato generale presso la Corte europea in Lussemburgo ha dichiarato che Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia hanno probabilmente violato il diritto Ue con il loro rifiuto di accogliere rifugiati, come dallo schema del 2015. La Repubblica Ceca ha accettato di accogliere 12 persone, Ungheria e Polonia hanno persistito in un rifiuto assoluto. 

Battaglie di questo tipo sono andate avanti per anni a porte chiuse, mentre i legislatori erano alle prese con la situazione di stallo delle riforme interne all’Ue in materia di asilo.

Il concetto di ripartizione dei richiedenti asilo, anche conosciuto come ricollocamento, è la questione al centro di questa situazione di stallo.

Oltre al lato politico, la relazione di Brincat si è concentrata sulla cosiddetta “emergenza temporanea dello schema di ricollocamento”, in base alla quale gli stati membri Ue avevano accettato di accogliere circa 160mila persone provenienti da Grecia e Italia nel corso di un periodo compreso tra settembre 2015 e settembre 2017, momento in cui .

stavano arrivando un gran numero di persone attraverso i Balcani occidentali in Ungheria e poi in Germania, mentre altri attraversavano la Turchia verso le isole greche.

Dopo l’accordo tra Unione europea e Turchia a inizio 2016, l’obiettivo stabilito è stato ridotto dagli originari 160mila a poco più di 98mila.

Quando lo schema è stato poi abbandonato in settembre 2017, solamente circa 35mila persone erano state trasferite sia verso gli stati membri, sia in Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.

“Dal nostro punto di vista, il ricollocamento è stato davvero una dimostrazione di solidarietà europea”, ha affermato il portavoce della Commissione europea, “con quasi il 100 per cento di candidati idonei in Grecia e in Italia trasferiti con successo”.

Trattamenti diseguali e procedure malfunzionanti

La Corte dei conti dell’Ue offre un punto di vista diverso: quest’ultima sottolinea che le autorità greche e italiane erano carenti di personale addetto a individuare efficacemente le persone che avrebbero potuto essere ricollocate, e questo ha comportato un basso numero di registrazioni.

Inoltre, aggiungono, gli stati membri dell’Unione hanno accolto soltanto rifugiati provenienti dalla Grecia arrivati prima dell’accordo con la Turchia, risalente al marzo 2016.

Un altro problema risiedeva nel fatto che gli stati membri mostravano enormi disparità riguardo ai livelli di riconoscimento dello statuto di richiedente d’asilo. Ad esempio, per gli afgani variavano dal 6 al 98 per cento, a seconda dello stato membro. Differenze di questo tipo si sono presentate anche per gli iracheni. 

Alcune persone migranti, invece, semplicemente non si fidano del sistema di ricollocamento; altri hanno rifiutato la prospettiva di finire in un paese nel quale non hanno legami culturali, linguistici o familiari.Quasi tutte le 332 persone inviate in Lituania, per esempio, hanno lasciato il paese.

Il Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, aveva persino scherzato sull’argomento alla fine del 2016: aveva spiegato che era stato difficile convincere i richiedenti asilo provenienti da Grecia e Italia a trasferirsi in Lussemburgo, suo paese d’origine.

“Ne abbiamo persuasi 53, dopo aver spiegato loro che era vicino alla Germania. Ora non si trovano più lì [Lussemburgo]”, ha raccontato. 

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