Separati in sala: gli europei al cinema tra est e ovest

Le abitudini di frequentazione delle sale in Europa variano in modo significativo: uno sguardo al divario esistente tra Europa orientale e occidentale.

Pubblicato il: Febbraio 14th, 2018
Separati in sala: gli europei al cinema tra est e ovest_62cf19c48c3f5.jpeg

Separati in sala: gli europei al cinema tra est e ovest

Le abitudini di frequentazione delle sale in Europa variano in modo significativo: uno sguardo al divario esistente tra Europa orientale e occidentale.

Foto: assistent08 (CC BY-SA 3.0) , via Wikimedia Commons

Il 15 febbraio si apre la 68esima edizione della Berlinale , appuntamento imprescindibile per cinefili e operatori, ma soprattutto finestra privilegiata per provare a capire di cosa parliamo quando diciamo ‘cinema europeo’. Parallelamente alle diverse sezioni che da anni costituiscono il cuore della manifestazione, acquistano sempre più importanza gli spazi di dialogo e riflessione sullo stato della settima arte e sugli scenari di produzione, distribuzione e fruizione che si trasformano a ritmi sempre più serrati.

Da anni, programmi europei come Europa Cinemas sostengono la circolazione dei prodotti cinematografici europei, mettendo in rete le sale cinematografiche del continente e fornendo supporto operativo e finanziario ai cinema che includono nella propria programmazione film prodotti in altri paesi europei. Ma i profondi cambiamenti che stanno trasformato la fruizione cinematografica, così come la frammentazione e le singolarità dei diversi panorami nazionali, ripropongono l’esigenza di individuare nuovi modelli e nuovi strumenti a sostegno del grande schermo. Proprio questi scenari sono il campo di analisi dell’European Film Forum (EFF), una piattaforma finanziata Commissione Europea che promuove la discussione e la riflessione sulle politiche culturali a sostegno di una migliore e maggiore circolazione dei film europei di qualità, in programma il 18 febbraio a Berlino, nella cornice del festival.

Frequentazione delle sale: biglietti e fatturato crescono a Est

Numerosi studi evidenziano come la crescente popolarità delle piattaforme di video on demand (VoD) rischia di erodere la frequentazione delle sale cinematografiche . In realtà, se si guarda all’andamento del numero di biglietti venduti e al fatturato delle sale, le prospettive non appaiono così grigie, soprattutto a Est. Secondo i dati raccolti da UNIC (che prende in considerazione le sale cinematografiche di 36 paesi europei), sia la frequentazione dei cinema che il loro fatturato sono in aumento in tutti i paesi del gruppo Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), così come in Estonia, Lituania e Romania.

Nonostante ingressi, fatturato e numero di schermi siano in costante aumento, questi dati restano in assoluto molto bassi se confrontati con i paesi in cui la frequentazione delle sale è un’abitudine più consolidata: Francia, Irlanda e Regno Unito hanno un tasso di frequentazione quasi triplo rispetto a quello registrato a Est, e su questo influisce sicuramente anche il prezzo nettamente inferiore dei biglietti in rapporto al salario medio .

Crescita sì, ma numeri assoluti ancora molto bassi

La recente crescita in queste regioni d’Europa parte tuttavia da una precedente situazione di declino e abbandono delle sale cinematografiche, che fino all’inizio degli anni Novanta erano in larga misura controllate dallo Stato. Nel corso di quel decennio moltissime sale furono costrette ad abbassare le serracinesche, e la scomparsa dei cinema trasformò in profondità il paesaggio urbano e sociale di molti centri abitati. Oggi quella crisi sembra essere in parte superata grazie a una lenta ripresa del grande schermo e al nuovo protagonista di questa rinascita, il cinema multisala.

Il principale operatore del settore in Europa centro-orientale, presente anche nel Regno Unito e in Irlanda, è la società israeliana Global City Holdings , secondo operatore cinematografico europeo, con una forte presenza anche nell’intrattenimento e nelle attività immobiliari. La Global City Holdings opera in Europa con 225 multisala e 2109 schermi tra Regno Unito, Polonia, Israele, Ungheria, Repubblica Ceca, Bulgaria, Romania, Slovacchia e Irlanda.

In Romania, ad esempio, la maggior parte degli investimenti in questo settore sono gestiti proprio dalla Global City Holding, che nel giro di pochi anni ha aperto ben 26 multisala , giungendo a controllare oltre il 50% degli schermi del paese. Di contro, la società pubblica RomâniaFilm , che un tempo gestiva centinaia di piccole sale, ormai ne possiede solamente una quindicina.

Se l’apertura dei multisala contribuisce a compensare lo squilibrio esistente tra Europa occidentale e nuovi stati membri in termini di sale pro capite – la Romania ad esempio ha un quinto degli schermi rispetto a Francia e l’Irlanda – è lecito chiedersi quanto il modello dei multisala possa contribuire a promuovere la diversità dei film proposti al pubblico, e a superare l’omologazione dei programmazione cinematografica, che certo non giova alle piccole produzioni di qualità europee.

Le preferenze del pubblico europeo: tra cinema europeo e cinema americano

Lo spazio spettatoriale europeo è caratterizzato ancora una volta da forti divari e in particolare dalle diverse preferenze del pubblico nel momento in cui deve scegliere scegliere tra cinematografia nazionale, europea e produzioni d’oltreoceano (per lo più statunitensi). Secondo i dati diffusi da UNIC , solo in 12 paesi su 26 la cinematografia nazionale si piazza nella “Top 5” dei film più visti nel 2016.

L’eterna lotta tra cinematografia europea e hollywoodiana investe il mercato europeo nel suo insieme: un recente studio dell’Osservatorio Europeo sugli Audiovisivi evidenzia un gap significativo tra produzioni europee e statunitensi relativamente al rapporto tra distribuzione in sala e ricavi. I film europei vengono distribuiti mediamente solo in 2 paesi europei, mentre le produzioni statunitensi ne raggiungono almeno 10. Appare evidente come una scarsa distribuzione equivalga a una minore possibilità di raccogliere i favori del pubblico, ma c’è dell’altro: anche quando raggiunge le sale, la cinematografia europea non sempre viene preferita dal pubblico. I film europei rappresentano il 64% dei lungometraggi proiettati, ma riescono a generare solo il 27% delle entrate totali, mentre i film americani, che rappresentano il 16% delle pellicole uscite in sala, raccolgono oltre il 70% degli incassi.

Emerge infine anche il pesante contrasto tra il successo europeo di alcuni film, supportato in certi casi anche dalla risonanza e dai riconoscimenti ricevuti nei festival, e la loro deludente accoglienza in patria. Emblematico è il caso della nuova cinematografia romena, che in Francia e Italia riesce a staccare il doppio dei biglietti venduti nel paese d’origine. Si prenda come esempio 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni (2007) di Cristian Mungiu, Palma d’oro a Cannes e vincitore degli European Film Award, che ha registrato 350 mila ingressi in Francia, 142 mila in Italia ma meno di 90 mila in Romania. Questo scarto si è successivamente ridotto con il consolidarsi della fama del cineasta, ma di poco: il suo ultimo lavoro, Bacalaureat, ha comunque incassato in Francia il doppio degli biglietti acquistati in Romania (103000 in Francia, 54000 in Romania).

Oltre il grande schermo?

Nonostante la tenuta del grande schermo, il futuro del cinema europeo passa anche dalla distribuzione sulle piattaforme di Video on Demand. Secondo uno studio finanziato dalla Commissione europea, nei cataloghi dei servizi di streaming le produzioni europee rappresentano in media il 23% dell’offerta complessiva. Proprio per questo, nell’ambito della riforma della direttiva sui servizi di media audiovisivi (AVMSD) attualmente in discussione, il Parlamento europeo ha chiesto di introdurre una quota di almeno il 30% di opere europee nei cataloghi delle piattaforma di video on demand.

La commissione cultura del Parlamento ha inoltre proposto che le autorità nazionali possano chiedere alle piattaforme di streaming di contribuire finanziariamente ai fondi nazionali per il cinema, con contributi proporzionali ai ricavati nel paese interessato: una richiesta che difficilmente sarà accolta di buon grado da piattaforme di distribuzione che sono in molti casi anche produttori di contenuti (si pensi ai due giganti del settore, Netflix e Amazon).

Occhi puntati su Berlino quindi, non solo con la consueta trepidante attesa per i vincitori, ma anche per carpire quali nuove idee e strategie siano in discussione per sostenere le produzioni europee e promuovere la loro fruizione da parte di un pubblico sempre più ampio.

Ricevi la nostra newsletter