Boschi d’Europa: un futuro di tempeste?

A un anno dalla più grande tempesta che l'Italia ricordi, torniamo a misurare il suo impatto. Non si è trattato di un episodio isolato – anzi, le foreste europee vengono colpite in modo più violento che in passato. 

Pubblicato il: Ottobre 30th, 2019
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Boschi d’Europa: un futuro di tempeste?

A un anno dalla più grande tempesta che l’Italia ricordi, torniamo a misurare il suo impatto. Non si è trattato di un episodio isolato – anzi, le foreste europee vengono colpite in modo più violento che in passato. 

Bosco in Alto Adige dopo la tempesta (foto: Marco Ranocchiari)

Esattamente un anno fa, negli ultimi giorni di ottobre 2018, un’eccezionale ondata di maltempo colpì l’Italia da nord a sud. Fiumi in piena, colate di fango, frane e mareggiate provocarono gravissimi danni e almeno dodici vittime, per un danno stimato di quasi tre miliardi di euro.

Il fenomeno più eclatante fu senz’altro il forte vento di scirocco che sferzò tutto il paese. In poche ore, nel nord-est italiano intere foreste furono letteralmente spazzate via da raffiche che sfioravano i 200 chilometri orari. 

Tempeste a confronto

Superate le frenetiche e durissime ore dell’emergenza, la gente di montagna del Triveneto capì che era successo qualcosa di inaudito. In molte stazioni di misura, la quantità di precipitazioni e la velocità del vento avevano superato i loro massimi storici, e i fiumi in piena avevano inondato aree che non raggiungevano da decenni.

L’eccezionalità dell’evento era davanti agli occhi degli abitanti: milioni di alberi erano caduti come stuzzicadenti. In poche ore, il territorio aveva cambiato fisionomia.  

Le regioni colpite avevano conosciuto una lunga serie di disastri naturali, che avevano già portato schianti di interi settori di bosco. Ma persino nel 1966, con la grande alluvione che  mise in ginocchio l’Italia e che i più ricordano per l’alluvione di Firenze, i crolli erano stati dieci volte inferiori.

Eppure tempeste di questo tipo, sia pure eccezionali, sono tutt’altro che sconosciute in Europa. Il vento è la maggior fonte di danni alle foreste nel continente (molto più di quanto facciano gli incendi), con più di 17 milioni di metri cubi di alberi schiantati ogni anno, una cifra che, secondo le stime , potrebbe raddoppiare di qui al 2050. Le aree più colpite sono l’Europa centro-occidentale, soprattutto i paesi affacciati sull’Atlantico, e il nord Europa. Nel 1999, le “tempeste di Natale” Lothar e Martin arrecarono una devastazione senza precedenti: 240 milioni di metri cubi di boschi abbattuti, di cui 176 in Francia e 34 in Germania, i paesi più colpiti. Le vittime dirette furono circa 140, e almeno cento morirono l’anno successivo durante i pericolosi lavori di ripristino. Il mercato del legname fu stravolto e il danno complessivo superò i 10 miliardi di euro.

Di fronte a simili catastrofi, anche la tempesta Vaia impallidisce. Quasi mai, però, simili tempeste si sono spinte sul versante meridionale delle Alpi. Non basta un solo evento per tirare in causa il riscaldamento globale, ma bisogna fare i conti con numerosi studi , secondo cui nel prossimo futuro dobbiamo aspettarci una maggiore frequenza di fenomeni estremi anche a queste latitudini, e foreste di conifere come quelle delle Alpi sono tra le più esposte.

Se la tempesta colpisce le montagne

Gli schianti massivi di bosco hanno colpito soprattutto il Trentino orientale e il bellunese. Regioni montuose, e perciò fragili, esposte al dissesto idrogeologico, soprattutto in tempi di cambiamenti climatici, e allo spopolamento. 

Tra i boschi colpiti, oltre il 40% sono stati completamente rasi al suolo, e di questi gran parte è situata su terreni ripidi in alta quota. Versanti che, una volta denudati, sono soggetti a valanghe e a crolli, a volte a ridosso di centri abitati, strade o altre infrastrutture. Nella sola provincia di Trento sono 280 i siti identificati come a rischio in seguito a Vaia. Senza contare che anche il lavoro di messa in sicurezza del territorio e rimozione delle ceppaie è particolarmente oneroso e pericoloso.

Operazioni di recupero del legname in Alto Adige (foto: Marco Ranocchiari)

Gran parte dell’economia delle regioni colpite si basa sul turismo d’alta quota, ma 2150 chilometri (il 40%) dei sentieri escursionistici del Trentino sono stati danneggiati, senza contare i 1800 chilometri di strade forestali compromesse. I lavori di ripristino procedono spediti, ma molto ancora resta da fare.

In seguito alla tempesta il prezzo del legname è crollato del 31,8% per il legname a strada, e addirittura del 63,4% per quello in piedi. 

Parte del legname è stato stoccato in enormi depositi che in Trentino occuperanno un’area di oltre 180 ettari. Molto è ancora a terra. Questo desta nuove preoccupazioni: si teme che nella primavera del 2020 il bostrico, un coleottero xilofago, potrebbe prosperare a dismisura sul legno morto, intaccando poi gli alberi vivi con il rischio di quasi raddoppiare l’estensione dei boschi compromessi. 

Il “martello di Dio” 

Come spesso accade, dietro le crisi si prospetta anche un’opportunità.

“Quando soffiava forte fra gli alberi, abbattendoli a gruppi – scrive Marco Borghetti nella rivista della Società Italiana di Silvicoltura ed Ecologia forestale che dirige – i vecchi forestali parlavano del vento come del martello di Dio“, riferendosi allo strumento che viene tradizionalmente utilizzato per segnare gli alberi da abbattere. 

Nel Triveneto, infatti, l’aspetto delle foreste è in gran parte frutto di un secolare lavoro di cura da parte dell’uomo. Tipologia ed età degli alberi testimoniano eventi del passato, come i rimboschimenti in seguito alle devastazioni della Grande Guerra. Pratiche antiche che sopravvivono ancor oggi, come la gestione collettiva dei boschi da parte delle comunità, che su di essi basavano la loro economia.

I boschi quasi puri di abete rosso, fatti di alberi spesso coetanei, sono i più adatti alla silvicoltura in queste zone, ma anche i più colpiti da tempeste come Vaia. 

“I disturbi ad opera del vento sono condizione necessaria per il ciclo di rinnovazione della foresta”, spiega Borghetti, in particolare nelle zone di alta quota. “Fra un po’ di tempo avremo il riscontro di questo effetto positivo della tempesta: ha plasmato il bosco nel quadro del suo ciclo naturale”.

Gli alberi svolgono fondamentali servizi ecosistemici come l’assorbimento della CO2, la stabilizzazione dei versanti, e fanno da rifugio a un’infinità di specie. Naturalmente occupano un posto importante anche nella nostra cultura e nell’economia.

Si crede spesso che in tutto il mondo le foreste stiano sparendo. In realtà, in Europa avviene l’esatto contrario. Negli ultimi trent’anni in Italia il bosco ha guadagnato quasi settantamila ettari l’anno, e il Nordest non fa eccezione.

In quest’ottica la forza distruttrice di Vaia appare meno drammatica. Un punto di vista necessario per guardare avanti.

“Un tempo il bosco era la fonte primaria di reddito di una popolazione povera e marginalizzata”, prosegue Borghetti. “Oggi non è più così: non siamo sottoposti alle pressioni del passato, e possiamo modulare le scelte tecniche e gestionali su conoscenze e osservazioni scientifiche”.

Il patrimonio forestale è testimone dei tempi e forse, oggi, i tempi ci dicono che sia ora di una sua gestione più accorta accorta, che sappia distinguere caso per caso con più attenzione a diversità e resilienza rispetto al passato.

Le fasi di rimboschimento inizieranno il prossimo anno. Tra il 2020 e il 2023 nei boschi del Trentino arriveranno oltre 800.000 piante cresciute in vivai della Provincia autonoma e in Austria. Le altre regioni viaggiano su numeri simili. La priorità sarà data ai versanti dissestati. Per le altre si procederà gradualmente e i margini di scelta sono ancora ampi.

I criteri di rimboschimento, più al passo con le conoscenze del tempo, prevedono un numero più contenuto di piante, concentrati in piccoli gruppi, più distanziati fra loro al fine di consentire la crescita di una maggiore varietà di specie di accompagnamento. Ci sarà anche la possibilità di lasciare maggiori superfici allo stato naturale. Dall’altro lato, però, si cercherà di recuperare lo spazio di prati e pascoli (550 ettari nelle aree schiantate) un tempo caratteristici del paesaggio alpino e che, causa spopolamento e cambio delle attività produttive, sono state progressivamente abbandonati e perciò “mangiati” dalla boscaglia. 

Vaia, insomma, segna uno spartiacque. Quello che le montagne del Nordest saranno nel futuro dipende in gran parte dalle scelte che dobbiamo fare oggi. Come nel resto del pianeta.

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