Perché l’Italia è stufa dell’Europa

L'arrivo al governo di forze euroscettiche è la conseguenza delle politiche di austerità fatte in nome del risanamento dei conti pubblici e dei criteri di convergenza dell'euro.

Pubblicato il: Giugno 11th, 2018
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Perché l’Italia è stufa dell’Europa

L’arrivo al governo di forze euroscettiche è la conseguenza delle politiche di austerità fatte in nome del risanamento dei conti pubblici e dei criteri di convergenza dell’euro.

Murales di Tvboy a Roma | Tvboy

A dirigere l’Italia ci sono ormai due forze euroscettiche: da un lato il Movimento 5 Stelle, dall’altro il partito xenofobo di estrema destra della Lega. Come si è arrivati a questa situazione? Com’è possibile che uno dei sei paesi fondatori dell’Unione europea, quello del trattato di Roma del 1957 e per molto tempo il paese più europeista del continente, sia riuscito a dare una maggioranza a delle forze politiche così ostili all’integrazione europea?

La questione migratoria ha senza dubbio avuto un ruolo importante. L’incapacità dei paesi europei di mostrare la benché minima solidarietà nei confronti dei paesi che si trovano in prima fila, come l’Italia e la Grecia, ha ovviamente alimentato questo euroscetticismo. In questo campo sia Manuel Valls che Emmanuel Macron hanno una pesante responsabilità a causa del loro ostinato rifiuto di impegnare la Francia ad accogliere la sua parte dei migranti provenienti dall’Italia.

Ma anche l’economia ha svolto un ruolo non trascurabile, e in particolare le politiche di rigore imposte nella zona euro dopo il trattato di Maastricht del 1992. Indubbiamente una parte importante delle difficoltà dell’Italia hanno un’origine interna che non è certo recente, legata in particolare alla scarsa efficienza dell’apparato statale e alla corruzione di molti settori della società. Tuttavia le politiche economiche imposte in Europa e in particolare nella zona euro hanno impedito al paese di risolvere i suoi problemi strutturali.

Bisogna prima di tutto rendersi conto che da più di 25 anni tutti i governi italiani conducono delle rigorose politiche di bilancio, più rigide ancora di quelle portate avanti dai governi tedeschi nello stesso periodo.

Possiamo osservarlo seguendo l’andamento dell’avanzo primario delle spese pubbliche, cioè la differenza tra l’insieme delle entrate e l’insieme delle spese (esclusi gli interessi sul debito pubblico). Ebbene, dall’inizio degli anni Novanta il saldo primario italiano è stato quasi sempre positivo e a livelli elevati. Anche nel 2009, nel momento più acuto della crisi, questo saldo era solo leggermente negativo, mentre in tutta Europa faceva registrare una pesante flessione.

Le gravi difficoltà degli italiani, accompagnate da un livello insostenibile di indebitamento pubblico (attualmente il 132 per cento del Pil), non derivano quindi da una politica di bilancio troppo lassista. Al contrario, il rigore permanente ha frenato l’attività economica e ha ostacolato la riforma dello Stato per renderlo più efficiente e produttivo, a causa dell’eccessiva pressione in favore di una riduzione delle spese.

Così la debolezza della crescita del Pil combinata con un’inflazione troppo bassa, comune a tutta la zona euro, non hanno permesso all’Italia di ridurre il suo livello di indebitamento, nonostante gli avanzi primari.

Inoltre, dopo la crisi del 2008-09 gli italiani sono stati particolarmente scrupolosi nel seguire le politiche di rigore raccomandate dal 2010 da Angela Merkel e Wolfgang Schäuble. Dopo che all’inizio degli anni Duemila si era assistito a un forte aumento del deficit nei conti esteri del paese (meno 3,4 punti del Pil nel 2010), gli italiani hanno dovuto stringere la cintura riducendo i loro consumi. L’anno scorso la loro economia ha prodotto un attivo di 2,8 punti del Pil, al contrario della Francia che nello stesso periodo ha fatto registrare un deficit estero di 3 punti del Pil.

In Italia questa dura e prolungata politica di rigore ha impedito alla disoccupazione di ridursi in modo sensibile, nonostante la riduzione del prezzo del petrolio e la politica espansiva della Banca centrale europea. In particolare la situazione dei giovani italiani rimane una delle più difficili in Europa – e questo spiega perché abbandonino in massa il paese, impedendo così un possibile rilancio futuro per mancanza di manodopera giovane e qualificata.

In altre parole gli italiani – al contrario delle tante voci che circolano, in particolare in Germania – non riescono a uscire dalla crisi non perché non sono stati abbastanza rigorosi nelle loro spese, ma perché si sono spinti troppo oltre sulla strada del rigore. In questa situazione non deve quindi sorprendere che cerchino di liberarsi dai vincoli che li soffocano, anche se purtroppo lo fanno facendo appello a delle forze politiche da molti punti di vista inquietanti per il futuro dell’Italia e dell’Europa.

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