Vaccini Covid: il tabù dei brevetti in Europa

Per l’Ue, gli intoppi nella distribuzione dei vaccini possono essere risolti grazie alle collaborazioni volontarie messe in campo dai colossi farmaceutici. Ma la società civile e diversi Paesi chiedono la liberalizzazione dei brevetti, per poter produrre autonomamente dosi e garantire la copertura vaccinale al maggior numero di persone possibile. Seconda parte dell’inchiesta di Stefano Valentino sulle pratiche monopolistiche delle aziende farmaceutiche. 

Pubblicato il: Marzo 22nd, 2021
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Vaccini Covid: il tabù dei brevetti in Europa

Per l’Ue, gli intoppi nella distribuzione dei vaccini possono essere risolti grazie alle collaborazioni volontarie messe in campo dai colossi farmaceutici. Ma la società civile e diversi Paesi chiedono la liberalizzazione dei brevetti, per poter produrre autonomamente dosi e garantire la copertura vaccinale al maggior numero di persone possibile. Seconda parte dell’inchiesta di Stefano Valentino sulle pratiche monopolistiche delle aziende farmaceutiche. 

Nonostante l’inaffidabilità dimostrata da AstraZeneca coi suoi ripetuti annunci di ritardi nella consegna delle dosi pattuite con l’Ue, la von der Leyen non rimpiange il fatto che il contratto siglato con la società anglo-svedese attribuisca a quest’ultima l’esclusiva sulla proprietà intellettuale del vaccino. CIò significa che l’azienda ha il potere di vietare ad altri di produrre i quantitativi che non riesce consegnare. 

“Il ritardo nella fornitura dei vaccini non è legato alla proprietà intellettuale, ma a capacità di produzione insufficienti che influiscono in particolare sull’attuazione dei contratti di acquisto conclusi dall’Ue”, ha commentato Miriam Garcìa Ferrer, portavoce per le questioni commerciali della Commissione: “Siamo d’accordo con la proposta di Ngozi Okonjo-Iweala (nuovo direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio- Omc), secondo cui cui occorre facilitare la collaborazione volontaria tra le aziende per utilizzare tutta la capacità di produzione, anche nei paesi in via di sviluppo”.Una iniziativa volta a liberalizzare la produzione di farmaci contro il coronavirus per la durata della pandemia, era stata lanciata all’Omc lo scorso ottobre da India e Sudafrica. Nello specifico, i due paesi hanno proposto la sospensione di alcune parti Trattato internazionale che tutela la proprietà intellettuale (TRIPs, accordo firmato nell’ambito dell’Omc). 

I delegati della Direzione Commercio della Commissione europa all’Omc, tuttavia, continuano ad opporsi alla proposta, per conto dei Ventisette.Questa iniziativa è appoggiata da quasi 80 paesi a basso reddito che la ritengono l’unico modo per garantirsi dosi sufficienti in tempi rapidi. Alla riunione di marzo del Consiglio TRIPs , dove le decisioni richiedono il consenso, la discussione è stata nuovamente aggiornata (a aprile o giugno) a causa l’ostruzionismo dei paesi ricchi. Oltre all’Ue, osteggiano la mossa di India e Sudafrica soprattutto Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Svizzera, Australia e Giappone che, oltre a essere roccaforti delle lobby farmaceutiche, hanno fatto manbassa di dosi dei vaccini più promettenti, pre-acquistandone circa la metà, pur rappresentando meno di un quarto della popolazione mondiale, secondo le elaborazioni dell’Unicef.

La posizione contraria espressa all’Omc dalla Commissione trova d’accordo tutti gli Stati membri che l’hanno precedentemente discussa e appoggiata a porte chiuse attraverso i loro delegati tecnici nel Comitato la politica commerciale del Consiglio. È quanto emerge dai verbali delle riunioni tenutesi da gennaio a febbraio, ottenuti dall’Ong Corporate Observatory Europe. 

Produzione in mano a pochi

La Task Force della Commissione per lo sviluppo industriale dei vaccini Covid, sotto la guida del Commissario Thierry Breton, si è incaricata di promuovere gli accordi interaziendali nel territorio Ue, senza toccare i brevetti. In effetti, le “Big Pharma” stanno subappaltando le diverse fasi della loro produzione ad altre aziende sparse nel Vecchio continente. I subappaltanti, tuttavia, non hanno licenza per fabbricare e distribuire autonomamente il vaccino, che rimane nella filiera pilotata dai titolari dei brevetti. 

Licenze vere e proprie, invece, sono state concesse a produttori extra-Ue: AstraZeneca le ha rilasciate a operatori in India, Brasile, Giappone, Corea del Sud, Cina, Australia, Spagna, Messico e Argentina, con l’obbligo di vendere unicamente in limitate aree geografiche. Questo significa che è loro vietato approvvigionare il più redditizio mercato europeo, dove la multinazionale mantiene l’esclusiva. Insomma, a controllare l’offerta restano sempre gli stessi giganti.

“Esiste ovunque larga capacità produttiva inutilizzata, ma siamo appesi ad alcuni stabilimenti che non potranno mai fornire tutto il dovuto”, afferma Massimo Florio, Professore di Economia pubblica all’Università degli studi di Milano, “non ha senso che le aziende farmaceutiche abbiano un’esclusiva di produzione, potrebbero benissimo essere remunerate tramite royalties percepite in base a licenze rilasciate a terzi”. Secondo un rapporto del Tony Blair Institute for Global change, per il Covid-19 viene utilizzata solo una ridotta proporzione dei 16,7 milioni di litri di capacità di produzione di vaccini, terapie, anticorpi e antivirali a livello mondiale. 

“È Indispensabile condividere brevetti e tecnologie al di fuori delle partnership ristrette guidate dai colossi farmaceutici, altrimenti non si riesce ad allargare la produzione abbastanza per soddisfare la domanda globale, coprendo anche le regioni meno abbienti”, protesta Sara Albiani, consulente dell’ong Oxfam.

Simili richieste erano già state avanzate nell’estate 2020 dall’Europarlamento, che l’11 marzo a votato un emendamento alla sua relazione sulla strategia economica annuale per ribadire alla Commissione l’urgenza di superare gli ostacoli alla produzione di vaccini Covid dovuti ai brevetti. 

Contemporaneamente, aumentano anche le pressioni della società civile: una cordata di 40 Ong ha pubblicato un appello ai governi Ue per la liberalizzazione dei brevetti alla vigilia dell’ultima riunione del Consiglio TRIPs. A questo si aggiunge l’iniziativa dei cittadini europei lanciata lo scorso novembre sul diritto alle cure che ha già raccolto oltre 100mila firme. Ne servono 1 milione entro il primo maggio perché la Commissione europea prenda in considerazione le proposte.

Gli assegni in bianco dei governi

“La parziale sospensione del TRIPs o anche il rilascio di licenze obbligatorie che il Trattato Ue autorizza in situazioni di crisi sanitarie, peraltro con procedure oltremodo onerose, non sarebbero misure sufficienti; infatti per produrre i vaccini qualunque soggetto terzo avrebbe comunque bisogno di un’attiva collaborazione da parte dei titolari delle tecnologie per l’acquisizione del know-how”, commenta Ellen ‘t Hoen, Direttrice del centro studi Medicines Law & Policy. Secondo ‘t Hoen “i governi avrebbero dovuto vincolare le case farmaceutiche a questo tipo di impegno in cambio dei fondi pubblici per ricerca e sviluppo, anziché affidarsi esclusivamente a iniziative spontanee da parte loro, ma vige una sorta di psicosi politica per cui si teme che l’industria cesserebbe di innovare se le si rendesse la vita difficile”.

A confermare questo timore è la risposta data dal Vice-presidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, all’interrogazione fatta a dicembre da un gruppo di eurodeputati sulla controversa proposta indo-sudafricana al Consiglio TRIPs: “Un passo del genere rischierebbe di limitare gli incentivi alla ricerca di prodotti farmaceutici innovativi per rispondere alle nuove sfide sanitarie”.

Non tutti concordano però con tale visione: “Questa volta il discorso sulla tutela dei brevetti per ricompensare gli investimenti non sta del tutto in piedi“, puntualizza Rachel Thrasher, ricercatrice al Global Development Policy Center, ”i governi hanno assunto un ruolo attivo nel finanziamento (sebbene l’Ue abbia versato relativamente meno rispetto agli Usa e altri enti internazionali, avendo quindi una minore leva negoziale), senza contare che le aziende hanno una domanda garantirà in tutto il mondo, assicurandosi profitti sostanziali anche qualora parte del denaro investito provenisse dalle loro tasche”. Per immunizzare l’intera popolazione mondiale saranno necessari fino a 14 miliardi di dosi, quantitativi che potrebbero moltiplicarsi se, come molti scienziati prevedono, la copertura immunitaria sarà limitata nel tempo, richiedendo ripetuti richiami.

Per conciliare interesse pubblico e privato, gli esperti da noi intervistati propongono che i governi concentrino la produzione su larga scala in alcuni centri congiunti operanti in conto terzi o, alternativamente, che si moltiplichino il numero dei licenziatari delle tecnologie, indennizzando collettivamente i titolari dei brevetti. “Ormai è difficile per gli Stati convergere su un adeguato meccanismo a livello globale nel mezzo di un disastro dove tutti loro sono in competizione per procurarsi medicinali per i propri cittadini, bisognava pensarci prima”, chiarisce Michelle Childs, Coordinatrice dell’attivismo politico presso la Drugs for Neglected Diseases Initiative: “Spero che i governanti abbiano imparato la lezione e compiano scelte sagge almeno in futuro”, aggiunge Clemens Martin Auer, Co-Presidente uscente della Task Force Ue sui vaccini.

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