Più della metà dei paesi europei vieta l’accesso alla procreazione assistita alle lesbiche, mentre quasi un terzo dei paesi lo vieta alle donne single

La situazione è ancora più difficile per le persone transessuali e intersessuali che, oltre alle barriere legali, devono fare i conti anche con ostacoli economici: la maggior parte dei sistemi sanitari pubblici copre solo una parte dei costi del trattamento, le liste di attesa sono molto lunghe e i criteri di accesso molto ristretti.

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Più della metà dei paesi europei vieta l’accesso alla procreazione assistita alle lesbiche, mentre quasi un terzo dei paesi lo vieta alle donne single

La situazione è ancora più difficile per le persone transessuali e intersessuali che, oltre alle barriere legali, devono fare i conti anche con ostacoli economici: la maggior parte dei sistemi sanitari pubblici copre solo una parte dei costi del trattamento, le liste di attesa sono molto lunghe e i criteri di accesso molto ristretti.

L’inseminazione artificiale, o intrauterina, è una tecnica che consiste nell’inserimento degli spermatozoi direttamente nell’utero della donna attraverso una sottile cannula. La fecondazione in vitro, invece, comporta l’estrazione di ovociti dalle ovaie di una donna e la loro fertilizzazione con gli spermatozoi in laboratorio, per poi procedere all’introduzione nell’utero degli embrioni che si sono sviluppati.

In Europa le coppie eterosessuali possono sottoporsi a trattamenti di procrazione medicalmente assistita (PMA) attraverso il sistema sanitario nazionale o, in alternativa, a proprie spese. Si tratta di procedure consentite dalla legge. Solo in alcuni paesi europei le coppie eterosessuali che necessitano di ovociti o embrioni donati incontrano ostacoli nell’accesso alla fecondazione assistita.

Per le coppie lesbiche e per le donne senza partner è più difficile accedere alla fecondazione assistita, e lo è ancora di più per le persone transessuali e intersessuali. Anche nei paesi dove non ci si aspetterebbe di incontrare discriminazioni in questo ambito. La Francia, ad esempio, ha consentito l’accesso alla procreazione assistita alle categorie di persone di cui sopra solo nel giugno di quest’anno, mentre in Norvegia le donne single possono ricorrere a questa procedura dal 2020 .

Per le persone LGBTIQ+ che vivono in Europa avere figli con tecniche di procreazione assistita è un’impresa tutt’altro che facile. Ben 24 paesi europei impediscono alle coppie lesbiche di accedere alla PMA.

“I luoghi in cui per le persone LGBTIQ+ è più difficile trovare un impiego, dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale, ottenere il riconoscimento giuridico dell’identità di genere o sposarsi sono anche luoghi in cui queste persone incontrano maggiori difficoltà nell’accedere alle tecniche di procreazione assistita”, afferma Cianan Russell dell’organizzazione ILGA Europe che unisce i movimenti LGBTI europei. Russell spiega che la situazione peggiore è in Ungheria e in Polonia, aggiungendo però che si tratta di un problema diffuso in tutta Europa. Secondo Russell, anche nei paesi dove le persone LGBTIQ+ possono legalmente accedere alla PMA, in pratica l’intero processo è spesso accompagnato da “discriminazioni, intimidazioni e persino da atti di violenza”. A riscontrare maggiori difficoltà – come afferma Russell – sono le persone transessuali e intersessuali.

Fino al 2011, non molto tempo fa, in Germania, le persone trans dovevano sottoporsi alla sterilizzazione per poter cambiare genere. Ciò succede ancora in molti altri paesi europei. In alcuni casi, la legge vieta l’accesso alla PMA alle persone che hanno ottenuto il riconoscimento di genere, causando un dilemma. “L’individuo non dovrebbe essere messo nella posizione di dover scegliere uno dei propri diritti o l’altro. Non è questo il modo in cui i diritti umani dovrebbero essere applicati.

Venti paesi permettono l’accesso alla PMA alle persone trans. Sei non lo fanno. In altri paesi, come la Germania, la questione non è normata. In Italia è obbligatorio completare la transizione di genere prima di poter accedere alla PMA. In altri paesi, delle modifiche legislative mirano a cancellare queste realtà, a fingere che non esistano. È questo il caso dell’Ungheria, racconta Bea Sandor, della Háttér Society, un’associazione ungherese per la difesa dei diritti LGTBIQ+: “Il riconoscimento legale di genere è stato completamente vietato l’anno scorso. Non esiste un vero riferimento legislativo per le persone trans.”

Inoltre, dichiara Russell, anche i trattamenti a cui sono state sottoposte molte persone intersessuali da giovani hanno azzerato le loro possibilità di avere figli, almeno in modo naturale: “Ci sono barriere davvero significative nel modo in cui le persone intersessuali sono in grado di riprodursi. E queste iniziano a manifestarsi persino molto prima che la persona intersessuale acquisti consapevolezza della sua situazione, cioè durante l’infanzia, quando si interviene interviene sui loro corpi tramite interventi chirurgici o trattamenti ormonali che ne modificano la capacità riproduttiva negli anni a venire.”

E, se riescono a superare tutte queste barriere, devono comunque affrontare le stesse di tutti gli altri: divieti nel caso non abbiano una relazione, limiti di età e costi. p>

Russell spiega inoltre che le persone LGBTIQ+ che subiscono discriminazioni nell’accesso alla fecondazione assistita hanno a disposizione tre alternative. La prima consiste nel nascondere la propria identità sessuale, un’alternativa a cui spesso ricorrono le coppie lesbiche affermando che solo una delle due donne vuole sottoporsi ad un trattamento di fecondazione assistita come donna single, oppure le persone non binarie o gli uomini transessuali che si presentano come donne. La seconda via alternativa è provare ad accedere alla PMA in un altro paese. Infine, la terza alternativa consiste nel concepire un figlio con un amico o con una persona di fiducia pur non sentendosi attratti da loro.

Molte persone che desiderano avere figli potrebbero sentirsi spinte a ricorrere a quest’ultima opzione qualora dovessero incontrare ostacoli insormontabili nel tentativo di soddisfare tale desiderio ricorrendo ad altri metodi. Izaskun Gamen, portavoce dell’associazione “Madres solteras por elección” [Madri single per scelta], racconta che, durante i suoi lunghi tentativi di avere un figlio, alcune persone le hanno consigliato di provare a rimanere incinta avendo un’avventura di una notte con uno sconosciuto e, se dovesse riuscirci, di non dire nulla al padre. Un’opzione che a Izaskun Gamen sembra impensabile. “Come lo spieghi poi a tuo figlio? Come spiegargli che è nato da un inganno?”, si chiede Gamen.

 

Madri sempre più vecchie

Per le coppie eterosessuali, nella maggior parte dei casi, l’unica barriera legale all’accesso alla PMA è l’età. Oggi le donne decidono di sottoporsi a tecniche di procreazione assistita ad un’età sempre più avanzata. Nell’ultimo decennio, l’età media delle donne al momento della nascita del primo figlio, a prescindere dal fatto che sia stato concepito in modo naturale o assistito, è aumentata in gran parte d’Europa: Nel 2019 in alcuni paesi, come Spagna e Irlanda, l’età media delle donne al primo parto ha superato i 32 anni.

Questi sono i valori medi, quindi molte donne si sottopongono alla procreazione assisitita anche in un’età più avanzata, quando è più difficile rimanere incinta in modo naturale. Nella maggior parte dei paesi l’età massima per poter accedere alla PMA si aggira ai 50 anni. In Grecia, ad esempi, tale limite è fissato a 50 anni, ma a causa del ritardo nell’erogazione dei trattamenti dovuto alla pandemia da Covid-19 il limite è stato esteso ai 52 anni fino al 30 giugno 2023.

Juana Crespo, direttrice di una clinica di fertilità spagnola specializzata nel trattamento dei casi difficili, spiega che il problema principale è l’età avanzata dei suoi pazienti. “Con l’avanzare dell’età, anche il nostro apparato riproduttivo invecchia, l’intero sistema invecchia”, afferma Crespo, aggiungendo che assistiamo alla diffusione di “una nuova malattia”. “La storia della maternità tardiva deve ancora essere scritta”, conclude Juana Crespo.

Pur rappresentando uno dei problemi più frequenti, il limite di età introdotto per le donne per l’accesso alla PMA non è l’unica difficoltà con cui devono fare i conti le coppie eterossesuali che desiderano avere figli. Secondo Carlos Calhaz-Jorge, medico specialista della salute riproduttiva e ricercatore presso l’Università di Lisbona, nonché presidente della Società europea di riproduzione umana ed embriologia (ESHRE ), il 50% dei problemi di fertilità nelle coppie eterosessuali è causato dal fattore maschile.

Nella maggior parte dei paesi europei non c’è alcun limite di età per gli uomini per poter accedere alle tecniche di PMA. Dei 43 paesi europei solo tre hanno fissato tale limite: la Francia a 59 anni, la Finlandia a 60 anni e la Svizzera a 56 anni, anche se negli ultimi due casi si tratta di raccomandazioni e non di limiti vincolanti.

 

La mancanza di risorse finanziarie è uno degli ostacoli più frequenti

Una volta superati gli ostacoli legali, ne sorgono altri, di tipo economico. Per Carlos Calhaz-Jorge “il principale problema è la mancanza di fondi pubblici. Anche nei paesi dove le coppie eterossesuali possono accedere alle tecniche di fecondazione assistita molto dipende dalla disponiblità di fondi pubblici. Non tutti gli stati coprono tutti i costi per le prestazioni di PMA, alcuni ne coprono solo una parte; le liste di attesa spesso sono molto lunghe, e il tempo è un fattore chiave nella fecondazione assistita.

Vi sono infatti notevoli differenze tra i paesi europei per quanto riguarda l’accesso alla PMA, a cui si aggiungono le disparità regionali che esistono all’interno di alcuni paesi, come Gran Bretagna, Italia e Spagna. In Navarra, ad esempio, le donne single possono accedere all’inseminazione artificiale, ma non è consentito loro l’accesso alla fecondazione in vitro, nemmeno nei casi in cui sono affette da patologie che impediscono loro di avere un figlio attraverso l’inseminazione. Altre regioni spagnole invece consentono alle donne single di accedere alla fecondazione in vitro. Un altro esempio è quello della Germania dove lo stato non copre i costi della fecondazione in vitro per le lesbiche e per le donne senza partner.

I limiti di età, che rappresentano un serio ostacolo per le persone di desiderano sottoporsi alla PMA in una clinica privata, sono ancora più bassi per chi ricorre a queste tecniche presso le strutture pubbliche. Per quanto riguarda le coppie eterosessuali, sono pochi i paesi europei che hanno fissato un limite di età per gli uomini per poter accedere ad un trattamento di fecondazione assistita (Portogallo a 60 anni e Austria a 49 anni), mentre l’età massima fissata per le donne va dai 38 anni in Lettonia ai 46 anni in Italia e ai 48 anni a Malta (la media europea è di 40 anni).

Inoltre, alcuni paesi prevedono ulteriori requisiti per l’accesso alle tecniche di procreazione assistita finanziate con soldi pubblici. Ad esempio, in Serbia, Romania e in alcune regioni spagnole alla PMA possono accedere solo le persone che non superano un certo peso, mentre in molti paesi (tra cui Danimarca, Malta, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia, Turchia) l’accesso alla PMA è limitato alle persone che non hanno già figli.

Un altro limite riguarda il numero massimo di tentativi di PMA realizzati attraverso il servizio sanitario nazionale. Se da un lato la maggior parte dei paesi europei non dispone di norme chiare che regolino l’inseminazione artificiale (solo alcuni paesi hanno fissato un numero massimo di prestazioni erogabili, di solto tre o sei cicli), dall’altro lato le norme sulla fecondazione in vitro sono molto più precise. Quasi tutti i paesi europei prevedono infatti un numero massimo di cicli di fecondazione in vitro eseguibili a carico dello stato: Belgio, Slovenia, Italia e Francia prevedono un massimo di sei cicli; Romania, Moldavia e Kazakistan solo un ciclo; mentre la maggior parte dei paesi prevede tre cicli.

Irene Cuevas, direttrice del laboratorio di embriologia dell’Ospedale generale di Valencia, in Spagna, spiega che le probabilità di successo di un trattamento di fecondazione assistita diminuiscono notevolmente con l’aumento del numero di tentativi falliti. “Disponiamo di risorse molto limitate e dobbiamo cercare di ottimizzare in qualche modo”. afferma Cuevas.

Poi ci sono le quote di compartecipazione alla spesa (ticket), il che significa che l’accesso alla PMA non è mai gratuito. I pazienti di solito coprono le spese per l’acquisto dei farmaci. In Spagna, ad esempio, un ciclo di trattamento ormonale che precede alla fecondazione in vitro può costare oltre 1000 euro .

Infine, ci sono le lunghe liste di attesa che, secondo Irene Cuevas, rappresentano “un problema fondamentale”. Anche in Ungheria i tempi di attesa per l’accesso alle prestazioni di PMA sono molto lunghi. Ad un certo punto l’Ungheria aveva deciso di accettare le donazioni di sperma solo dalle persone di nazionalità ungherese. Tuttavia – come spiega Bea Sándor dell’organizzazione Hattér impegnata nella difesa dei diritti delle persone LGBTIQ – la situazione non è migliorata nemmeno dopo la revoca di questo vincolo. La scorsa estate l’Ungheria ha nazionalizzato tutte le clinoche di fertilità presenti nel paese. “Tutti sanno che questo significa che chi non ha soldi dovrà aspettare da 5 a 10 anni [per accedere alle prestazioni di PMA]”, afferma Sándor.

Secondo Calhaz-Jorge, la procreazione medicalmente assistita non è solo una questione di diritti. “Mi piacerebbe che nel mio paese, il Portogallo, ci fosse un sostegno maggiore [alla PMA]. Le liste di attesa sono troppo lunghe, come anche nel resto d’Europa. Assistiamo ad un declino della fertilità. Un maggiore sostegno potrebbe contribire a rallentare tale declino. Il nostro obiettivo è quello di portare al 5% la percentuale di bambini nati in Portogallo grazie alle techniche di procreazione assisitita. È un obiettivo realistico, ma per raggiungerlo abbiamo bisogno di maggior risorse finanziarie”, spiega Calhaz-Jorge.

La Spagna, insieme alla Grecia, è il paese con il più alto tasso di bambini nati grazie alla PMA (il 7,9% di tutti i bambini nati nel 2017). In Italia, Gran Bretagna e Portogallo tale tasso si aggira attorno al 3%.

Tenendo conto di tutte le difficoltà di cui sopra, viene da chiedersi se sia possibile adottare una normativa europea comune che garantisca a tutti i cittadini un accesso equo alle prestazioni di procreazione medicalmente assistita. Cianan Russell è scettico al riguardo perché si tratta di una materia di competenza degli stati membri. Stando alle sue parole, l’unica alternativa all’adozione di una normativa europea è quella di difendere i diritti delle persone LGBTIQ ricorrendo alle vie legali.

Nemmeno Calhoz-Jorge è ottimista riguardo alla possibilità di elaborare una normativa europea comune in materia di procreazione assistita. “Sono convinto che non sia possibile adottare regole simili [in tutti gli stati membri]. Le posizioni politiche e la sensibilità culturale variano molto da un paese all’altro”, conclude Calhoz-Jorge.

 



Metodologia

Olalla Tuñas e Miguel Ángel Gavilanes hanno collaborato alla realizzazione di questa indagine. I membri di EDJNet László Arató in Ungheria, Giorgio Comai in Italia, Elvira Krithari in Grecia e Álvaro Merino con la Francia hanno aiutato a raccogliere i dati.

Abbiamo investigato due aspetti relativi all’accesso alle tecnologie di procreazione assistita: cosa dice la legislazione di ciascun paese su cosa si può o non si può fare e quale parte è finanziata pubblicamente dal servizio sanitario nazionale. Come punto di partenza abbiamo utilizzato i dati raccolti dalla European Society of Human Reproduction and Embriology (ESHRE) nell’articolo scientifico ‘Survey on ART and IUI: legislation, regulation, funding and registries in European countries’ , con dati fino al 31/12/2018 che ha escluso l’Azerbaigian. Inoltre, abbiamo esaminato uno per uno e aggiornato e perfezionato i dati relativi ai paesi dell’UE con più di 10 milioni di abitanti al 1 gennaio 2021 secondo Eurostat : Germania, Francia, Italia, Spagna, Polonia, Romania, Paesi Bassi, Belgio, Repubblica Ceca , Grecia, Svezia e Portogallo. Abbiamo anche analizzato Ungheria, Norvegia, Irlanda, Russia e Regno Unito, data la loro rilevanza dal punto di vista dei dati. Tuttavia, non abbiamo trovato alcuna informazione indipendente che verifichi i dati riportati da ESHRE per la Romania.

I limiti di età che utilizziamo sono “esclusivi” quando si tratta di età massime. Ad esempio, se un paese limita l’accesso all’inseminazione artificiale a 40 anni, le persone che hanno raggiunto tale età non potranno più accedere al servizio. I limiti di età sono invece “inclusivi” quando si parla di minimi relativi all’utilizzo della procreazione assistita. Ad esempio, se l’accesso è per persone con più di 18 anni, potranno accedere coloro che hanno 18 anni o più.

Abbiamo cambiato a 46 anni l’età massima fornita da ESHRE a cui le donne possono accedere alla procreazione medicalmente assistita in Norvegia, secondo l’ultimo aggiornamento della legge sulla biotecnologia e, inoltre, la stessa età è stata stabilita come limite per il trattamento coperto dall’assicurazione sanitaria nazionale . Anche le informazioni sull’accesso per le donne single e le coppie lesbiche fanno capo allo stesso aggiornamento . In Portogallo non esiste un’età massima per gli uomini per accedere alla PMA, secondo il Conselho nacional de procriação medicamente assisted (CNPMA) . Per quanto riguarda la Francia abbiamo modificato l’età massima degli uomini per accedere alla PMA, come spiegato qui .

Ci sono altri paesi per i quali abbiamo aggiornato l’età massima delle donne per accedere alla PMA tramite il loro servizio sanitario nazionale (sia attraverso il pagamento del ticket o la copertura totale delle spese): in Belgio, dove l’Institut national d’assurance maladie-invalidité (INAMI) scrive che le donne devono avere meno di 43 anni; nella Repubblica ceca, dove il VZP sovvenziona le donne sotto i 40 anni ; in Portogallo , dove bisogna avere 40 anni per la fecondazione in vitro e 42 per l’inseminazione artificiale; in Romania, dove bisogna avere almeno 24 anni per essere inclusi nel programma nazionale di fecondazione in vitro , e nel Regno Unito, dove tutto dipende dalla regione in cui ci si trova, e sebbene il NICE raccomandi alle donne di avere al massimo 42 anni per la fecondazione in vitro, ci sono regioni in cui è consentita fino ai 43 anni. Le informazioni più complete su ciò che è consentito o meno in ciascuna regione britannica sono raccolte da Fertility Network UK .

Eurostat fornisce i dati relativi all’età media delle madri alla nascita del primo figlio e quelli relativi al numero di figli nati fuori dal matrimonio . Abbiamo anche utilizzato i dati Eurostat sulle nascite nel 2017 in Albania, Grecia, Bosnia ed Erzegovina, Germania, Lettonia e Serbia per ottenere la percentuale di bambini nati attraverso la PMA.

Sebbene abbiamo cercato di essere esaustivi nella raccolta e nell’analisi di questi dati, la loro complessità e la costante evoluzione della situazione possono portare a errori o dati obsoleti. Se trovi errori, contattaci a contacto@civio.es

Puoi scaricare i dati qui:

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