Le aziende alimentari europee non rispettano le loro promesse di ridurre la plastica

Un’indagine realizzata da Deutsche Welle rivela che due terzi delle promesse fatte dalle grandi aziende del settore alimentare di ridurre l’uso di plastica non sono state rispettate. Ma la legislazione può intervenire.

Pubblicato il: Agosto 9th, 2022
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Le aziende alimentari europee non rispettano le loro promesse di ridurre la plastica

Un’indagine realizzata da Deutsche Welle rivela che due terzi delle promesse fatte dalle grandi aziende del settore alimentare di ridurre l’uso di plastica non sono state rispettate. Ma la legislazione può intervenire.

Illustration by © Una Rebić/Pod črto

Nel 2009, il colosso alimentare francese Danone ha fatto una promessa ambiziosa: entro due anni, tra il 20 e il 30 per cento della plastica usata per le bottiglie d’acqua prodotte dall’azienda avrebbe dovuto essere ottenuto da materiali riciclati. Il rapporto di sostenibilità di Danone ha definito il provvedimento “una modo per ridurre gli imballaggi e diminuire le emissioni di CO2.”

Il provvedimento rappresentava un passo nella direzione della  lotta contro l’inquinamento globale da plastica. La plastica non soltanto è uno dei prodotti principali ottenuti da combustibili fossili quali il petrolio e il gas naturale: è anche uno dei più duraturi. Le bottiglie di plastica, per esempio, possono impiegare fino a 450 anni  prima di dissolversi. I derivanti pezzetti di microplastiche danneggiano sia gli animali sia gli esseri umani, inquinando oceani, il suolo e l’aria. E il settore alimentare e delle bevande è uno dei più grandi inquinatori di plastica al mondo. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), nel 2019 sono stati rilasciati nell’ambiente 79 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, tramite dispersioni terrestri o acquatiche, roghi a cielo aperto o discariche. Questa cifra rappresenta più di un quinto del totale globale.

Le aziende stanno rispettando le promesse di lavorare in modo più ecologico? Per scoprirlo, Deutsche Welle (DW) e l’European Data Journalism Network (EDJNet) hanno analizzato alcune delle più grandi società europee di produzione alimentare e di bevande.

Danone, per citarne una, non lo fa. Nel 2014 l’obiettivo dell’azienda era cambiato: “L’obiettivo è raggiungere una percentuale del 25% di PET riciclato entro il 2020”, si leggeva sul loro sito internet . “E alla fine raggiungerà il 50 per cento.”

Gli sviluppi nel settore del riciclaggio, in parte fuori dal controllo delle aziende, influenzano la quantità di PET riciclato che può essere integrata. Quando l’azienda francese non ha rispettato il nuovo obiettivo fissato, ha spostato ancora i paletti. E poi ancora un’altra volta. Ma nel 2020, Danone usava ancora soltanto il 20 per cento di PET (Polyethylene terephthalate) riciclata nelle sue bottiglie di acqua in tutto il mondo. E per il 2025, ben 14 anni dopo la prima scadenza che si era data, Danone ha fissato per i suoi prodotti un obiettivo familiare : il 50 per cento di plastica riciclata nelle sue bottiglie di acqua.

Complessivamente, DW e i suoi partner hanno individuato 98 promesse fatte in relazione alla plastica negli ultimi 20 anni da parte di 24 aziende alimentari e di bevande che hanno il loro quartiere generale in Europa. Più della metà di queste promesse sono state fatte soltanto negli anni più recenti, e la maggior parte di queste fissa obiettivi per l’anno 2025.

Nel caso di almeno 37 promesse che avrebbero dovuto essere già onorate, il bilancio non è positivo: il 68 per cento ha chiaramente fallito l’obiettivo oppure non ha fatto sapere più niente in proposito. Quando le aziende non rispettano i loro impegni, non lo dicono apertamente. Al contrario, lasciano cadere l’argomento senza farne parola o ne fanno slittare la portata o la scadenza.

Queste cifre sono in linea con gli studi di altri settori: nel 2021, l’Unione europea ha svolto indagini sulle dichiarazioni verdi nei siti web aziendali di settori come quelli dell’abbigliamento, della cosmesi e degli articoli per la casa, e ha scoperto che il 42 per cento delle dichiarazioni erano probabilmente esagerate, false o fuorvianti.

Degli obiettivi che si suppone siano stati raggiunti, alcuni erano più stratagemmi di marketing che veri e propri miglioramenti. Per esempio, citiamo il caso del birrificio belga Anheuser-Busch InBev, l’azienda che produce birre come le americane Budweiser, Corona e Beck’s. Nel 2017, AB InBev ha annunciato  di essersi impegnata a proteggere “100 isole dall’inquinamento marino da plastica entro il 2020”.

In pratica, l’azienda non si è impegnata in pratiche di tutela a lungo termine. Al contrario, Ab InBev ha organizzato 214 eventi una tantum di pulizia delle spiagge in 13 Paesi, e poi ha dichiarato quegli impegni un successo un anno prima della scadenza prevista.

“Molte aziende usano ricorrere alla pulizia delle spiagge per farsi pubblicità” ha detto Larissa Copello, attivista presso l’Ong ambientalista Zero Waste Europe. “In verità, sono proprio loro a riversare tutti quei detriti sulle spiagge.” Zero Waste Europe si batte per “far chiudere i rubinetti” e ridurre lo spreco delle confezioni all’origine.

DW ha riscontrato che soltanto 19 delle 98 promesse riguardavano l’impegno a ridurre la quantità di plastica usata per il packaging o quella prodotta ex novo, e la maggior parte di esse non sarà rispettata se non in futuro.

DW ha riscontrato che 16 delle 24 aziende controllate che avevano promesso di produrre imballaggi con plastica riciclata hanno rispettato l’impegno. Ma questo non garantisce che la plastica sarà riciclata.

“Se non esiste un’infrastruttura che raccoglie questi materiali separatamente, non potranno essere utilizzati” ha detto Copello. Lo stesso vale per i prodotti che si pensa siano biodegradabili o compostabili. “Qui in Belgio non abbiamo una raccolta differenziata per i materiali compostabili o biodegradabili” ha detto Copello. “Di conseguenza finiscono tutti insieme nei bidoni del multimateriale.”

In un terzo delle promesse documentate, le aziende si sono impegnate a includere nelle loro confezioni una quantità maggiore di plastica riciclata. Questo sarebbe già un miglioramento, ha detto Copello. Alcuni piccoli progressi sono stati fatti: l’italiana Ferrero, per esempio, ha iniziato ad aumentare la quantità di PET riciclata usata negli imballaggi secondari già nel 2010. Coca-Cola HBC, azienda svizzera che imbottiglia la Coca-Cola, ha lanciato una bottiglia fatta al 100 per cento da PET riciclata per quattro dei suoi marchi di acqua nel 2019, a un anno da quando l’aveva annunciato.

Gli impegni su base volontaria non sono sufficienti per indurre il cambiamento

Nel complesso, la domanda di plastica riciclata resta bassa mentre i prezzi restano alti, il che implica che per le aziende è di gran lunga più redditizio usare plastica vergine appena prodotta.

Le iniziative su base volontaria non sono sufficienti, ha detto Nusa Urbancic, direttrice della campagna presso la Changing Markets Foundation con sede a Bruxelles, che lavora per rendere pubbliche pratiche aziendali irresponsabili ed esercitare pressioni per leggi più severe sulla plastica.

“Invece di usare il loro potere, i loro soldi e le loro risorse per trovare le soluzioni, spesso le aziende fanno il contrario” ha detto Urbancic. “Si nascondono dietro impegni su base volontaria per non attuare i cambiamenti che sarebbe necessario concretizzare.”

Di fatto, ha proseguito, gli impegni volontari sono spesso una tattica consapevole, concepita per rimandare leggi progressiste e spostare  l’attenzione dalla legislazione. Nel suo rapporto intitolato “Talking Trash “, Changing Markets illustra nei dettagli le pressioni aziendali esercitate  contro  efficaci sistemi di riciclo, e non da oggi.

Le leggi premono per l’uso di PET riciclata

Malgrado questi tentativi nelle relazioni pubbliche, l’Unione europea di recente ha approvato un’ambiziosa legge riguardante la plastica. In base alla direttiva Single Use Plastics, per esempio, gli oggetti in plastica usa e getta come i sacchetti, le posate e le cannucce non possono più essere distribuiti nei mercati dell’Ue. Questa decisione segue l’esempio di Paesi africani come l’Eritrea, che ha vietato i sacchetti di plastica nel 2006, il Rwanda (2008) e il Marocco (2009).

La direttiva dell’Ue prevede anche un obiettivo preciso per incorporare entro il 2025 il 25 per cento di plastica PET riciclata ed entro il 2030 il 30 per cento in tutte le bottiglie.

Probabilmente, il rapido aumento delle promesse è dovuto  in parte alla nuova legge. “Ha fatto sì che le aziende si rendessero conto che devono moltiplicare i loro sforzi per rispettare quegli obiettivi” ha detto Urbancic. Adesso, ha proseguito, sono le aziende stesse che chiedono migliori sistemi di riciclo per essere aiutati a rispettare i loro obblighi di legge.

Le promesse pubbliche possono avallare il greenwashing

Molte più iniziative stanno raccogliendo in database pubblici le promesse su base volontaria delle aziende. L’Ue compila elenchi sulla Piattaforma europea Circular Economy Stakeholder, mentre la Ellen MacArthur Foundation, con sede nel Regno Unito, raccoglie le iniziative dei firmatari del suo programma Global Commitment riguardante la plastica.

Le promesse fatte alla fondazione hanno ambizioni molto variabili. Unilever, per esempio, ha dichiarato di voler ridurre del 50 per cento tra il 2020 e il 2025 l’uso di plastica di nuova produzione, mentre Ferrero ha promesso soltanto il 10 per cento, e l’azienda francese di produzione di liquori e vini Pernod Ricard si è impegnata per una riduzione di appena il 5 per cento.

Copello di Zero Waste e Urbancic di Changing Markets Foundation considerano gli impegni su base volontaria come quelli richiesti dall’Ellen MacArthur Foundation meno efficaci delle leggi. Urbancic definisce questa strategia “solo carota e niente bastone”.

“Le società non sono obbligate nemmeno a rendere note informazioni di base, quale la loro impronta relativa al consumo di plastica. E i dati che sono pubblicati non sono verificati in modo indipendente” ha detto Urbancic. Come altri schemi su base volontaria, ha detto, anche questo corre il rischio di essere usato come una cortina di fumo per facilitare l’ecologismo di facciata e procrastinare azioni verso uncambiamento vero e proprio.

Rallentare l’aumento della produzione di plastica

Changing Markets raccomanda che, quanto meno, le iniziative volontarie fissino obiettivi ambiziosi di partecipazione, garantendo che gli aderenti siano tenuti a riferire i loro progressi e le aziende rispondano pubblicamente del loro operato.

Presto, nei prossimi anni, l’Ue si propone di introdurre leggi sulla plastica più scrupolose in conformità al Circular Economy Action Plan , che comprenderà obiettivi precisi per il riciclo della plastica e provvedimenti per evitare lo spreco delle confezioni. Cambiare è assolutamente indispensabile: la produzione globale di plastica sta ancora aumentando e si prevede che continuerà in questo senso negli anni a venire.

Allo scopo di rallentare questo aumento, è indispensabile che altri Paesi si uniscano allo sforzo. Dai dati risulta che le aziende modificano le loro tattiche soltanto quando avvertono le pressioni derivanti dalle leggi, dall’essere chiamati a risponderne pubblicamente e dalla domanda dei consumatori. La nuova cartina di tornasole arriverà nel 2025, quando le aziende dovranno aver soddisfatto le attuali promesse fatte sull’uso della plastica. Alcune di esse ormai sono obbligatorie, quanto meno nell’Ue.

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