I rischi e le opportunità di una “democrazia a distanza”

In questi mesi il Covid-19 ha messo a dura prova le democrazie occidentali. Nei principali paesi europei gli spazi per il confronto, specie in parlamento, si sono ridotti. Da questo punto di vista, le nuove tecnologie rappresentano un’opportunità da cogliere.

Pubblicato il: Gennaio 7th, 2021
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I rischi e le opportunità di una “democrazia a distanza”

In questi mesi il Covid-19 ha messo a dura prova le democrazie occidentali. Nei principali paesi europei gli spazi per il confronto, specie in parlamento, si sono ridotti. Da questo punto di vista, le nuove tecnologie rappresentano un’opportunità da cogliere.

Photo: mohamed_hassan/Pixabay

L’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ha imposto agli stati di tutto il mondo l’adozione di misure straordinarie. Tra queste anche la limitazione di alcuni diritti fondamentali dei cittadini come la libertà di spostamento o di riunirsi liberamente. Inoltre la necessità di agire rapidamente per fronteggiare l’avanzata del virus ha comportato una concentrazione dei poteri nelle mani di poche persone, con i governi che hanno assunto un ruolo di primo piano.

Parallelamente, l’attività dei parlamenti ha subito un significativo ridimensionamento dovuto non solo ai tempi inevitabilmente più lunghi che il confronto democratico richiede, ma anche per garantire l’incolumità dei suoi membri. Questa situazione ha accentuato una tendenza già in corso da tempo, quella della assoluta centralità dei governi con i parlamenti relegati ad un ruolo di secondo piano.

Tale tendenza rappresenta un pericolo per la democrazia che rischia di uscire molto indebolita da questa emergenza. Tuttavia l’avvento delle nuove tecnologie può rappresentare un’importante opportunità, non solo per garantire la continuità dei lavori degli organi simbolo della democrazia ma anche per migliorarne l’efficienza, come ci dimostrano le esperienze del parlamento europeo e di quello spagnolo.

Come i paesi europei hanno risposto alla pandemia

Abbiamo detto che l’arrivo del coronavirus ha costretto gli stati all’adozione di misure straordinarie. Nella maggior parte dei casi questo ha comportato l’attivazione di un quadro normativo speciale in cui i poteri dei governi sono stati rafforzati. In quest’analisi cercheremo di capire come alcuni dei maggiori stati europei – Francia, Germania, Spagna e Italia – hanno reagito all’emergenza.

In Italia il 31 gennaio è stato dichiarato lo stato di emergenza . Questa condizione non è prevista da una norma di rango costituzionale ma solo da leggi ordinarie. È stato quindi necessario emanare moltissime norme per consentire ai vari soggetti coinvolti nella gestione della pandemia di operare nella maniera più efficiente possibile.

Abbiamo già evidenziato in passato diversi aspetti critici di questa situazione. Ci limiteremo dunque a ricordare che in questa condizione molti poteri sono concentrati nelle mani dell’esecutivo, con vincoli allentati sia sul fronte della trasparenza, sia su quello del rendiconto di come sono state impiegate le risorse pubbliche.

Infatti molte misure adottate, incluse alcune che hanno fortemente limitato le libertà personali dei cittadini, non sono passate per il placet del parlamento poiché contenute in atti amministrativi e non in leggi. Degli oltre 400 atti emanati fin qui per affrontare l’emergenza infatti solo 12 (meno del 3%) hanno visto un coinvolgimento diretto delle camere.

Oltre 440 atti per affrontare l’emergenza Coronavirus

Atti per tipologia e soggetto responsabile

FONTE: dati ed elaborazione openpolis (ultimo aggiornamento: lunedì 14 Dicembre 2020)

Condizioni simili al contesto italiano sono invece regolate dalle costituzioni di Spagna e Francia . In entrambi questi paesi si è scelto tuttavia di adottare misure il meno restrittive possibile. In Spagna, la cui costituzione ne prevede ben tre diversi tipi, si è scelto di adottare il meno rigido e cioè lo stato di allerta . Questa condizione è stata sospesa il 21 giugno ma, con l’avvento della seconda ondata, è stata ripristinata fino al 9 maggio 2021.

In Francia invece si è deciso di non attuare quanto previsto dalla costituzione in quanto giudicato troppo restrittivo dei diritti dei cittadini. La scelta è stata quella di istituire per legge  uno stato di emergenza sanitaria pubblica. Una condizione che rimarrà in vigore almeno fino al prossimo 16 febbraio.

Diverso è invece il caso della Germania. Contrariamente agli altri stati analizzati, infatti, quello tedesco ha scelto di non dichiarare uno stato di emergenza a livello nazionale sebbene questa possibilità fosse prevista dalla costituzione . Questo perché l’adozione di tali misure speciali è sempre stata considerata controversa nel paese. Si è scelto quindi di agire nell’ambito della legge contro le epidemie approvata nel 2001, grazie alla quale il governo ha potuto adottare misure come l’imposizione del distanziamento sociale e lo stop agli eventi.

In Italia un anno con lo stato di emergenza

Numero di giorni con stato di emergenza (o simili) in vigore

FONTE: elaborazione openpolis su dati dei parlamenti oggetto dell’analisi. (ultimo aggiornamento: mercoledì 16 Dicembre 2020)

Dobbiamo ricordare tuttavia che quello tedesco è uno stato federale in cui i 16 Länder ricoprono un ruolo di primo piano. Ogni misura che riguardi l’intero territorio nazionale deve quindi essere concordata tra i due livelli di governo. Questo ha portato il governo centrale a dover cercare dei compromessi: anche per questo motivo il nuovo lockdown voluto dalla cancelliera tedesca Angela Merkel ha dovuto ricevere il via libera dai governatori. Tale scelta si è resa peraltro quasi inevitabile dopo che le misure adottate a novembre, alleggerite rispetto alla linea “rigorista” della cancelliera proprio per volere dei governatori, si sono rivelate inefficaci.

In Italia 3 mesi di lockdown 

Numero di giorni con lockdown in vigore a livello nazionale

FONTE: elaborazione openpolis su dati dei paesi oggetto dell’analisi. (ultimo aggiornamento: venerdì 8 Gennaio 2021)

Caratteristica comune di tutte queste esperienze è stata la forte limitazione di alcuni diritti fondamentali dei cittadini (come la libertà di spostamento), la concentrazione del potere in poche mani e la riduzione degli spazi per il controllo e il confronto democratico, specie all’interno dei parlamenti.

Come il parlamento italiano ha gestito l’emergenza

Abbiamo detto che in questi mesi le prerogative dei parlamenti sono state fortemente limitate. Tuttavia, garantire la continuità dei lavori ha una grande importanza, non solo perché si tratta del principale organo rappresentativo del paese, ma anche perché, in quanto elemento cardine dei sistemi democratici, rappresenta un fondamentale presidio di legalità, trasparenza e tutela dei cittadini. Ma come si sono organizzati i parlamenti europei per rispondere all’emergenza sanitaria?

In Italia la questione coronavirus ha toccato per la prima volta il parlamento lo scorso 4 marzo, quando un deputato proveniente dalla zona rossa di Codogno ha chiesto di poter partecipare alle sedute da remoto. Questa possibilità è stata però esclusa sulla base dell’articolo 64 della costituzione, che impone – se interpretato alla lettera – la presenza fisica dei parlamentari durante i lavori.

La scelta quindi si è orientata sulla ricalendarizzazione delle sedute con la limitazione dei lavori ai progetti di legge indifferibili e urgenti (come la conversione dei decreti legge in scadenza), alle interrogazioni e alle interpellanze urgenti.

In Italia 41 leggi approvate dall’inizio dell’emergenza

Numero di disegni di legge approvati al mese dalla dichiarazione di stato di emergenza

FONTE: elaborazione openpolis su dati senato (ultimo aggiornamento: lunedì 30 Novembre 2020)

È stato raggiunto anche un accordo informale che ha previsto la riduzione al 55% della capienza massima delle camere; tale accordo è stato però rispettato solo durante la fase più acuta dell’emergenza. Le votazioni si sono poi svolte per appello nominale, fissando fasce orarie scaglionate per l’accesso all’aula. Inoltre, i lavori delle camere hanno previsto frequenti pause per garantire l’areazione e la sanificazione degli ambienti.

Infine, sono state allestite nuove postazioni in altre aree per consentire ai parlamentari di partecipare alle sedute pur garantendo il distanziamento sociale. L’unico caso in cui il parlamento italiano ha concesso ai suoi membri di partecipare alle sedute da remoto è stato per le audizioni informali (cioè senza rendicontazione) delle commissioni.

La contrazione della rappresentanza parlamentare: le esperienze francese e tedesca

Così come nel caso italiano, anche in Francia e Germania è stato escluso il ricorso al voto a distanza, ma le strade scelte per garantire la continuità dei lavori parlamentari sono state diverse.

Un elemento che ha caratterizzato l’esperienza francese rispetto alle altre è stato quello del voto per delega. Con un’interpretazione estensiva di una disposizione presente nell’articolo 62 del regolamento  si è infatti deciso di limitare l’accesso all’aula solamente a 3 membri per ogni gruppo parlamentare: il capogruppo ed altri due deputati.

Questa decisione ha conferito grande potere a una ristretta cerchia di parlamentari. Sebbene siano infatti stati imposti dei paletti (i deputati, ad esempio, possono manifestare il loro dissenso rispetto alle decisioni prese) c’è stata senza dubbio una significativa limitazione della rappresentatività dell’organo. Basti pensare che nel caso del partito del presidente Macron – La République En Marche – 3 deputati hanno espresso da soli il 47% dei voti.

In Francia 3 deputati hanno espresso il 47% dei voti

Numero di deputati appartenenti ai gruppi parlamentari dell’Assemblea nazionale francese

FONTE: elaborazione openpolis su dati Assemblea nazionale (ultimo aggiornamento: mercoledì 9 Dicembre 2020)

A ciò si deve aggiungere che il governo francese ha spesso fatto ricorso alla procedura accelerata che permette una sola lettura per ciascuna camera di un disegno di legge e, in mancanza di accordo, la formazione di una commissione speciale per arrivare a un testo condiviso. Questo è avvenuto ad esempio con la legge 2020-734 che prevedeva misure urgenti per far fronte all’emergenza sanitaria.

Diverso invece il caso tedesco dove è stato modificato il regolamento , abbassando il numero legale richiesto a un quarto dei componenti dell’organo, sia in assemblea che in commissione. Contestualmente, è stato aumentato il numero di urne per le votazioni, disposte in varie zone del palazzo, prevedendo anche tempi più dilatati per le operazioni di voto. Nel caso tedesco la possibilità di voto a distanza è stata ammessa solo per i lavori delle commissioni e comunque in via residuale.

Si tratta di due soluzioni che, come abbiamo visto, presentano alcuni aspetti critici: in entrambi i casi si nota infatti come la decisioni siano state delegate ad un ristretto numero di componenti. Due soluzioni che non avrebbero potuto essere adottare in Italia dato che il dettato costituzionale afferma come il voto sia personale e che le decisioni debbano essere assunte con la presenza della maggioranza dei componenti .

Le opportunità del voto a distanza: il parlamento spagnolo e il parlamento europeo

Fin qui abbiamo esaminato tre casi in cui, per vari motivi, i parlamenti nazionali hanno rinunciato alla possibilità di voto da remoto individuando altre soluzioni per garantire la sicurezza e la continuità dei lavori. Ora analizzeremo due casi in cui, invece, è stato fatto ampio ricorso alle nuove tecnologie: quelli del parlamento spagnolo e del parlamento europeo.

Già a partire dal mese di marzo, i parlamentari spagnoli sono stati abilitati al voto da remoto grazie ad un’interpretazione estensiva dell’articolo 82 del regolamento che prevede questa possibilità in casi di malattia grave. Su questa base, dal 25 marzo le sedute dell’assemblea e delle commissioni, le conferenze dei capigruppo, e tutte le attività degli organi di direzione tecnica e politica si sono svolte da remoto.

Per garantire la correttezza del voto, la norma richiede che prima dell’inizio della seduta il presidente o un membro dell’ufficio di presidenza si accerti telefonicamente della volontà espressa dai vari deputati che inoltre firmano digitalmente le schede. Con l’alleggerimento dell’emergenza durante i mesi estivi alcuni deputati sono tornati a lavorare in presenza, ma molti altri hanno invece preferito proseguire con il voto a distanza. Sono state oltre 600 le votazioni eseguite con questa metodologia da marzo a novembre, con picchi di oltre 200 nei mesi di luglio e novembre.

In Spagna oltre 600 votazioni con procedura da remoto

Numero di votazioni al mese tenute dal congresso dei deputati spagnolo

FONTE: elaborazione openpolis su dato Congreso de los diputados. (ultimo aggiornamento: mercoledì 9 Dicembre 2020)

Nello stesso periodo, anche il parlamento europeo ha scelto di proseguire i lavori con modalità a distanza. Questo anche per le oggettive difficoltà che i deputati dei vari paesi avrebbero incontrato nel raggiungere le sedi di Bruxelles e Strasburgo. Per questo motivo, a partire dalla seduta dello scorso 26 marzo , le sessioni sono state trasmesse in streaming, dando così la possibilità agli europarlamentari di partecipare alle sessioni e di votare da remoto.

Uno dei temi principali relativi al voto a distanza riguarda il rischio di possibili manomissioni indesiderate. Per questo motivo, così come nel caso del parlamento spagnolo, è stato adottato un rigido protocollo: i deputati ricevono nella loro casella e-mail ufficiale una scheda elettorale che devono compilare, firmare e ri-inviare al centro servizi del parlamento. Il computo dei voti è effettuato sulla base delle schede che rispettano i requisiti. Questa soluzione ha permesso al parlamento Ue di eseguire ben 4.378 voti da marzo a novembre.

Il caso Lamorgese

Abbiamo visto, dunque, che i parlamenti dei maggiori stati europei hanno scelto indirizzi diversi per garantire la continuità dei lavori. In particolare, il caso spagnolo e quello del parlamento europeo ci dicono che le nuove tecnologie possono offrire un apporto molto significativo per il miglioramento dei sistemi democratici occidentali.

Un altro esempio concreto arriva dall’Italia. Lo scorso 7 dicembre infatti, nel corso di una seduta del consiglio dei ministri, la titolare del dicastero degli interni Luciana Lamorgese è venuta a conoscenza di essere positiva al Covid-19. Successivamente, il test a cui è stata sottoposta la ministra si è rivelato essere un “falso positivo “, ma ciò non ha impedito ripercussioni sull’attività del governo. In primo luogo la sospensione dell’incontro, poi l’attuazione di misure di quarantena per due membri di peso dell’esecutivo: il ministro degli esteri Luigi Di Maio e il ministro della giustizia Alfonso Bonafede.

Per quanto la positività al Covid di alcuni ministri non comporterebbe necessariamente la paralisi dell’esecutivo, certamente rappresenta un ulteriore ostacolo poiché in questo momento sarebbe necessaria la massima efficienza possibile. Ricorrendo alla tecnologia, si potrebbe tuttavia fare fronte a questi inconvenienti. Il consiglio dei ministri impegna infatti i membri dell’esecutivo per più di 10 ore al mese, in media. In questo frangente, molte persone si ritrovano a discutere a stretto contatto e le possibilità di contagio sono molto elevate.

In media il consiglio dei ministri si riunisce per più di 10 ore al mese

Durata delle riunioni del consiglio dei ministri al mese

FONTE: elaborazioni openpolis su dati presidenza del consiglio dei ministri. (ultimo aggiornamento: lunedì 30 Novembre 2020)

Oltre a comportare rischi per la salute, ciò può anche incidere non poco sull’attività dell’esecutivo in caso di contagio, ad esempio comportando l’impossibilità di adottare quegli atti che richiedono la controfirma di un ministro impossibilitato a partecipare al Cdm per motivi di salute o di sicurezza. Anche da questo punto di vista, la tecnologia, attraverso la possibilità di discutere e votare le misure da remoto, consentirebbe una maggiore efficienza e flessibilità dei sistemi democratici.

Rischi e opportunità di una democrazia a distanza

Il Coronavirus ha senza dubbio messo a dura prova le democrazie occidentali, evidenziando ulteriormente le carenze strutturali che le caratterizzano da tempo. Il rischio però è quello di uscire da questo periodo con una democrazia indebolita, in cui i cittadini sono disposti a rinunciare a qualche tutela in cambio di maggiore sicurezza ed efficienza. 

Da questo punto di vista, il ruolo degli organi di controllo – primi tra tutti i parlamenti – sono stati percepiti più come un ostacolo che come un caposaldo democratico. È proprio in situazioni eccezionali come questa, tuttavia, che i parlamenti dovrebbero svolgere un fondamentale ruolo a garanzia dei diritti dei cittadini.

La tecnologia può dare un apporto fondamentale da questo punto di vista. Ovviamente, le opportunità offerte dai nuovi mezzi di comunicazione presentano anche dei rischi, come quello del furto di dati e informazioni o la manipolazione delle votazioni. Problemi che, con le dovute accortezze, possono essere superati.

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